recensioni

Madonnna

Sticky & Sweet Tour
L’appuntamento con il disco dal vivo di Madonna è diventato ormai un classico. Quindi puntuale come un orologio svizzero (ma sti’ orologi lo sono davvero o è una leggenda metropolitana?) ecco il CD+DVD (c’è anche la versione BLU-RAY) registrato durante la tappa di Buenos Aires (Argentina). Il cd è una cavalcata sonora tra vecchie hit e nuovi successi (a volte ri-arrangiati per la delizia dei cultori di queste pratiche sonore), ma è con il DVD che la goduria raggiunge livelli di guardia. Madonna canta e balla per due ore come fosse una ragazzina amante del rock. Da sola là davanti sul palco, in compagnia della sua fida chitarra, per poi diventare una zingara ed aprire un siparietto (bello, ma non troppo) con alcune canzoni come “La Isla Bonita” e chiudere nuovamente in versione “rock”. Nel mezzo un palcoscenico da paura, decine di migliaia di luci, un corpo di ballo da far impallidire anche i musical più famosi, alcuni ospiti in video (Kanye West, Justin Timberlake, Timbaland), una band rodata come una moto GP ed un pubblico osannante. Da segnalare anche un documentario che racconta il tour mondiale con riprese fatte in giro per il mondo. Da vedere. Alla fine però sorge spontanea una domanda. Il rito collettivo di questi eventi, che ormai travalicano dal “semplice” concerto per diventare un “mostro” enorme, nel quale Madonna fatica ad emergere, è meglio vederlo dal vivo (guardando la maggior parte delle volte, uno schermo gigante) o seduti comodamente a casa, senza l’assillo della caccia al biglietto, della fila all’ingresso, della corsa per cercare un posto, del sentire ma non vedere, della sete (io ho aperto il frigo ed ho bevuto una cola)? Voi avrete la vostra risposta, ma io torno davanti alla televisione, c’è “Like A Virgin” richiesta da uno spettatore in prima fila.

Formato: cd+dvd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

AA.VV

Materiali resistenti
Nel 1995 le menti del C.P.I. davano forma ad un progetto intitolato “Materiale Resistente”, che vedeva nella festa del 25 aprile il suo apice. Un concerto, un libro, un documentario ed un cd mettevano in fila l’aristocrazia della musica indipendente italiana con i canti partigiani/popolari. A quindici anni da quell’evento, entrato nella storia della musica italiana, sempre il 25 aprile, ma questa volta a Carpi, si è tenuto un concerto con l’elite della musica indipendente italiana. Alcuni nomi hanno fatto da trait d’union con il passato (Massimo Zamboni, Francesco Magnelli, Taver, Mara Redeghieri), altri, nuovi, hanno dato un fondamentale contributo. La scelta geografica di Carpi è stata dettata dalla presenza sul territorio del campo di concentramento di Fossoli che ha sostenuto il progetto. E’ stata una bellissima giornata che ha visto la presenza di più di 10.000 persone ed è stata anche l’occasione di pubblicare un cd con Mariposa, Fabrizio Tavernelli, Paolo Benvegnù, Marta Sui Tubi, Tre Allegri Ragazzi Morti, il Circolo Culturale “Enrico Zambonini”, Le Luci Della Centrale Elettrica, Offlaga Disco Pax, New Cherry, Giardini Di Mirò, Massimo Zamboni e Cisco. Un cd da lacrime agli occhi fin dalle prime note, un cd nel quale si avverte la voglia, incondizionata, di rimanere legati ai valori che hanno portato l’Italia ad essere una Repubblica democratica. Un plauso a tutti i partecipanti e alle tre menti (Luca, Massimo e Corrado) che hanno avuto l’idea di riproporre l’esperienza del ’95. Mi piacerebbe conoscerli, magari potendomi sedere con loro in una sala di una abitazione modenese e parlare di questa idea attorno ad un tavolo di legno invecchiato, mentre un bambino di un anno e mezzo corre instancabile per la stanza. Ma alla vita non si può chiedere tutto. Peccato.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Templebeat

The grey space
Apro una busta, dentro ci trovo un cd con un nome familiare. Mi precipito come un invasato ad aprire la custodia. Scorro i titoli in scaletta, i ricordi di lontani ascolti mi tornano alla mente come se avessi appena finito di sentire una musicassetta intitolata “Interzone” (una musicassetta, vi rendete conto). Continuo a leggere come ipnotizzato gli altri titoli, due brani arrivano dalla compilation “Treviso Underground” del 1990, uno da “V.I.T.R.I.O.L. 3” del 1994. Ora non mi resta che far girare il cd ed alzare il volume. La musica esce dalle casse con violenza, l’elettronica industrial si fa largo tra le particelle di aria, come a voler creare una super-strada che possa giungere alle mie orecchie senza ostacoli o impedimenti di varia natura. Echi di Clock DVA, Pankow, Nitzer Ebb, Cabaret Voltaire, SPK, Skinny Puppy, Laibach, Nine Inch Nails, Ministry, D.A.F. sono dietro l’angolo, mi sento a casa. I ricordi tornano prepotenti, come quando vidi i cd di questo gruppo italiano in bella mostra da HMV a Londra, o di quando un loro video veniva programmato da MTV in alta rotazione insieme ai nomi internazionali. Anni luce fa. Oggi riascoltando queste undici tracce nel loro splendore digitale, rimango stupito di come una band di questa caratura non sia diventata un nome di grande successo, ma abbia solo sfiorato quella fama che meritava. In chiusura una cover di “Der Mussolini” che spacca. Mi rendo conto che non ho ancora citato il nome di questa band, perché inconsciamente non posso concepire che qualcuno non possa conoscerla. Per coloro che ignorano, si chiamano Templebeat. Cercateli ed amateli.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

The Sadies

Darker circles
La musica è sempre alla ricerca di nuove sonorità. Nuove tendenze. Nuovi generi. Nuove band. Il tutto alla disperata ricerca di invogliare i sempre più sparuti ascoltatori ad appassionarsi a qualche cosa che possa far vendere una copia. Ma se gli ascoltatori volessero sentire qualcosa che rimandi al passato, quando il rock era rock e non si mescolava con l’elettronica, il punk, il reggae, lo ska ed altri mille generi? Cosa si dovrebbe fare? Si dovrebbe cercare la discografia di band come i Sadies, attivi dal 1998 in Canada, ma innamorati del deserto statunitense, con in carniere una decina di album. Ci si dovrebbe tuffarsi nell’ultimo album, “Dark Circles” e rimanere affascinati da come il rock, quando era solo rock, possa ancora vivere (alla grande) in dischi che trasudano passione. Figli d’arte, Dallas e Travis sono i pargoli di Brian e Larry Good dei Good Brothers, band canadese di country, questi Sadies sembrano decisamente in ottima forma. Ballate rock e canzoni western, ma anche quel pizzico di psichedelica che non guasta, echi surf e country suonato con gli strumenti della tradizione: mandolino, tastiere, banjo, chitarra, basso e batteria. Se poi ci aggiungete una voce e dei cori maledettamente yankee il gioco è fatto. Undici canzoni divise, come una volta, in due facciate che aspettano solo di essere consumate vestiti da cowboy in sella al nostro cavallo lanciato al galoppo verso il Grand Canyon. Oppss, dimenticavo che siamo in Italia. Però per chi vive in Emilia la consolazione di abitare nella regione più americana e rock dell’intera penisola. I Sadies sono davanti ad un fuoco a cantare. Scaldiamoci con la loro musica.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Matteo Remitti - Stefano Fiz Bottura

Giovanni Lindo Ferretti - Canzoni Preghiere Parole
Avevo questo libro sulla scrivania da qualche giorno. Non riuscivo ad iniziare la lettura. Timoroso. Perplesso. Infastidito. Poi un pomeriggio passa da casa Christian, un compagno di classe tredicenne di mia figlia. Vede il tomo e mi chiede: “Stai leggendo un libro sul traditore?”. La parola “traditore” mi apre in due. Io che ho amato e creduto nei CCCP Fedeli Alla Linea e nei C.S.I. e che ora non riesco a decidere di leggere questi dieci centimetri di carta stampata. Metto da parte le mie paranoie e mi lancio. La lettura mi cattura, consumo le circa 400 pagine in un paio di giorni. Alla fine mi sento sollevato, ho ritrovato in queste righe tante facce conosciute, tanti concerti visti e sudati, tante esperienze professionali vissute in prima persona, tante cose che non mi ricordavo neanche più di aver fatto. Un libro asciutto nelle sue mille sfaccettature, dove ad una analisi storica impeccabile fa da contraltare un approccio critico alla musica, alle scelte di vita, alle parole, alle prese di posizione. Un libro che ti riporta quando tutto si chiamava CCCP ed eri uno dei pochi che aveva visto la luce, ma che poi ti conduce per mano nel tour di spalla a Jovanotti insieme ad orde urlanti di fan che non sanno chi siano i C.S.I., per arrivare alla fine del Consorzio e metterti davanti agli occhi il nuovo corso dei P.G.R. ed il “voltafaccia” di Ferretti. Un libro che è un atto d’amore nei confronti, non tanto di un cantante, ma di un periodo storico e di un gruppo di persone che sembrava potesse cambiare il corso della storia, o perlomeno della musica in Italia. Un libro che in copertina ha il “traditore”. Una scelta coraggiosa. Io non ce l’avrei fatta.

Formato: libro


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Triobrio Deluxe

Tre tigri contro triobrio
I Triobrio deluxe da Ferrara giungono alla prova sulla distanza di un album dopo un assaggio uscito l’anno scorso. Il mondo di appartenenza del gruppo rimane quello intuito con il mini d’esordio, che in questa prova viene messo ancora più a fuoco. Fin dal disegno in copertina si può infatti intuire che i tre ragazzi emiliani non si prendono troppo sul serio, domatori senza doma di un universo musicale appoggiato su melodie al limite della strafottenza, con testi così basic che durante l’ascolto si pensa tra sé e sé: “Anch’io potevo scrivere un testo così”, poi si fa mente locale e da soli ci si dà la risposta: “No, non ce l’avrei fatta neanche sotto tortura”. Ecco la quadratura del cerchio operata dai Triobrio Deluxe, sembrare banali senza esserlo, fare finta di dire stupidaggini con l’intento di far riflettere anche i più dubbiosi. Il tutto messo a fuoco lento su una base di elettronica che strizza l’occhio al pop. Con questo non intendo che il gruppo sia di facile ascolto, anzi, il cantato svogliato mette in ansia anche il più bonario ascoltatore, ma basta arrivare al brano successivo che l’atmosfera cambia e diventa quasi solare ed il sorriso ritorna a far capolino. Tra i dieci brani presenti in scaletta anche la cover di un pezzo di Bugo, altro artista che definire “scazzato” è un complimento. I Triobrio Deluxe sono la fotografia di questa società, pronta a divertirsi sempre e comunque perché vuole dimenticare tutti i problemi di ogni giorno. Ma la risata non sarà mai grassa, anzi…. I Triobrio Deluxe sono dei domatori di belve feroci. Il tendone del circo vi aspetta.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

New Cherry

Le forme di Pedro
Sara Piolanti, voce e chitarra dei New Cherry, è stata la cantante dei Caravane De Ville, progetto nato dopo la fuoriuscita di Giovanni Rubbiani dai Modena City Ramblers. Chi ha avuto modo di ascoltare Sara, in una delle sue molteplici trasformazioni artistiche, sa benissimo che la voce di questa minuta ragazza è un rullo compressore che si adatta alle più disparate situazioni musicali ed emotive. I New Cherry dal canto loro (completano la formazione Ulisse alla batteria e Antonio al basso) sono un trio di rock. Quel rock energico ed aggressivo capace di cambiare atmosfera all’interno dello stesso pezzo, ad ogni strofa, senza mostrare alcuna difficoltà. Il minicd si apre con il brano principe, “Coca Magnum”, un ritmo funky con la voce di Sara che saltella sulle note come una scafata equilibrista, si prosegue con “Matematica”, ballad che all’improvviso diventa un uragano che tutto appiattisce, poi è la volta di “Sintesi Erotica”, altro pezzo rock da far invidia a tantissimi gruppi osannati negli anni novanta (dove siete finiti?), giunge quindi “Et Juliette” a metà strada tra il blues ed il garage, con Sara che mi ha ricordato la Lilith dei Not Moving, infine “Cera” a chiudere con grazia il cd tra echi, qua e là, di Cristina Donà. Da segnalare, nella sezione multimediale del compact disc, la presenza del videoclip di “Coca Magnum”, testi e photo gallery. I New Cherry spaccano, pochi fronzoli, tanto sudore ed una carica (erotica) da spiazzare anche i più provetti amanti. E poi la Piolanti è un animale da palcoscenico, lo sapevate vero?

Formato: minicd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

The apples in stereo

Travellers In Space And Time
Tre anni sono passati dal precedente “New Magnetic Wonder” e circa venti dall’inizio dell’avventura. Gli americani Apples In Stereo sono da sempre innamorati del pop lo-fi degli anni sessanta, ma ascoltando “Travellers In Space And Time” si rimane spiazzati, perché qui la tecnologia non è decisamente lo-fi, anche se mascherata dietro a melodie all’apparenza banalotte. Qui Robert Schneider, mente dietro al progetto fin dall’inizio, ha dato corpo al disco più mainstream della band. Un album che ad ascoltarlo ti vengono in mente così tanti riferimenti da far impallidire le informazioni contenute in tutta Wikipedia. Qui si sentono gli E.L.O., i Beach Boys, gli A-Ha, i Buggles, Olivia Newton John, Deborah Harry, buona parte della dance elettronica degli anni settanta, fino ad arrivare dalle parti di Daft Punk, Air e gruppi ancora più effimeri come i Vacuum o gli Alcazar. Qui si sentono muri di synth uniti a vocine che potrebbero scalare le classifiche di vendita, quelle che contano, o rimanere nei cuori dei puristi del pop indie. Anche se personalmente non ho ancora capito quando un pezzo è pop o indie pop. Qui c’è un brano (“C.P.U.”) scritto usando formule matematiche legate ai numeri primi (Robert è anche un matematico), ci sono alcuni episodi decisamente belli (“Dream About The Future”, “Dance Floor”, “Hey Elevator”), momenti di furore dance e tonnellate di melodie zuccherine. Gli Apples In Stereo hanno pubblicato il loro disco più immediato di sempre. Da segnalare anche la possibilità di connettersi ad Internet e scaricare, con un codice contenuto nella copertina, altro materiale inedito. Vocoder uber alles.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Arancioni meccanici

Arancioni meccanici
Gli Arancioni Meccanici (il nome non deve fuorviarvi perché Kubrick può riposare in pace) sono una band nata a Milano nel 2004 che ha esordito con un demo di quattro brani dopo un anno di vita e giunge solo ora al vero disco, quello sul quale tutti possono esprimere pareri e dare giudizi. Il disco, registrato da Giulio Favero (One Dimensional Man, Teatro Degli Orrori) e Livio Magnini (Bluvertigo, Jetlag) è uno specchio fedele di quello che l’Italia ha prodotto, musicalmente parlando, negli ultimi decenni. In questo omonimo cd c’è la new wave dei Diaframma e Litfiba (l’inizio di “Mala Tempora” potrebbe essere un pezzo dei Joy Division o di Fiumani), il punk filo sovietico dei CCCP Fedeli Alla Linea (“La Minaccia Rossa” potrebbe essere un inedito di “Spara Juri”), l’elettronica dei Bluvertigo (“Tomorrow” potrebbe essere un pezzo di “Metallo Non Metallo” se non fosse per il cantato in inglese), l’alcool di Nick Cave (“Love” potrebbe essere il lato B di “The Ship Song”), un qualsiasi cantante anni sessanta (“Ti Porto Fuori A Cena” potrebbe essere stato un tormentone del 1964). Insomma gli Arancioni Meccanici si divertono un mondo a spaziare tra mille sonorità e questo sicuramente è un bene che però potrebbe diventare un boomerang e spiazzare più di un ascoltatore. Il gruppo forse dovrebbe decidere da che parte stare. Anche se sentendo come riescono a saltare da un genere all’altro sarà sicuramente una scelta difficile da fare. Tra i pezzi più riusciti, a mio modesto parere, “Mala Tempora”, “La Minaccia Rossa”, “Tumblin’ Heart” e “Uomini/Macchine”. Dal vivo immagino che siano molti coinvolgenti. Al prossimo appuntamento discografico.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Fabrizio Frabetti & Bluesfrog

Uh!
Quando un musicista suona dal 1992, prima nei Railless e poi negli Antibiotici, quindi decide di tentare una propria carriera a suo nome, ma giunge al primo album nel 2009. La domanda nasce spontanea. Perché aspettare tanto tempo? Perché non dare in pasto le proprie canzoni e vedere cosa succede? Poi mi informo e scopro che Fabrizio in questi anni ha pubblicato un libro, ha scritto alcune pièce teatrali, insomma non è stato con le mani in mano e la cosa mi da una certa sicurezza, “Uh!” deve essere per forza un disco maturo, curato nei minimi dettagli, senza sbavature o riempitivi da saldi di fine stagione. Quindi non mi rimane che iniziare l’ascolto. Ebbene Frabetti ha avuto ragione, ha atteso, ma ha dato vita ad un disco piacevolissimo, nel quale i cantautori italiani, quelli con la “C” maiuscola, fanno capolino di tanto in tanto. Un album ricchissimo di storie e bella musica, alla batteria c’è Ellade Bandini, alla chitarra Lelio Padovani e sopra tutto la voce di Fabrizio che non si stanca mai di raccontare con quel piglio tipico di chi ha macinato chilometri su chilometri suonando in tutti gli angoli di questa Italia distratta e svogliata, che non concede troppo a chi ha delle cose da dire. L’alternanza tra brani lenti e canzoni più “veloci” prende per mano l’ascoltatore, mentre Frabetti sembra a suo agio qualunque cosa canti. Alcuni pezzi dovrebbero entrare di diritto tra le canzoni da ricordare (“Le Stelle Della Cisa”, “Mille E Una Notte”, “Dio Del Mare”, “Mezzosogno” e “Uh!”), ma anche le restanti meritano più di un ascolto. Un bel disco di musica d’autore, ma non pensate a cose pesanti da digerire, qui c’è una leggerezza che è difficile da trovare in tanti dischi. Complimenti, ma adesso spero di non dover aspettare dieci anni prima di ascoltare il seguito.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Dipper

10 steps to babel
I Dipper sono una delle creature di Ugo De Crescenzo e Elena Colombo, il primo anima dei Pilot Jazou, la seconda con una delle voci jazz più belle della penisola. “10 Steps To Babel” è il nuovo album che esce su Casaluna, succursale dai suoni delicati della più elettronica e “cattiva” Minus Habens. Infatti fin dalle primissime note di “Babo’s Alphabet”, che apre il cd, è subito chiaro che le trame sonore ci condurranno per mano nei meandri di un suono che prende spunti dalle accecanti luci di New York, ma anche dalla sabbia del deserto marocchino, o dalla frenesia di Tokyo. Il rap di Shanty, che giunge alla corte dei Dipper proprio dalla capitale del Sol Levante, caratterizza il primo pezzo in un crossover di influenze che ci fa sembrare cittadini del mondo pur rimanendo seduti comodamente a casa nostra. In “Babele City”, invece, le redini vengono prese da Elena, il groove che ne esce ti si attorciglia addosso senza accorgersene, in “First Glance” sempre Elena sembra volerci cullare tra eleganza e glamour, mentre in “Monsieur Tète” la presenza del vibrafono di Michael Emenau, dal Canada, rende il disco ancora più internazionale di quanto non lo fosse già. Nel proseguo Elena si cimenta con vocalizzi, per poi dare spazio alla voce di Esa (“Head’s Funk”), nome conosciuto per i trascorsi con gli O.T.R., che aggiunge un pizzico di States. Sul finire la Colombo riprende in mano il discorso e riporta i Dipper verso spiagge accarezzate da piccole onde sonore. Un disco per rilassarsi, un disco per farsi cullare da una mano amorevole. Un disco da godere con un drink in mano ed il cuore pieno d’amore.

Formato: cdc


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Davide Zilli

Coinquilini
Davide Zilli da Piacenza, è un giovane professore di italiano (forse ancora precario), con una passione per la musica che lo divora. Lo divora a tal punto che ha pubblicato il debutto ufficiale come solista, dopo aver suonato in alcuni gruppi ed aver deciso che un progetto a suo nome e cognome poteva dissetare la sua sete di musica. Ecco quindi “Coinquilini” che mette in fila otto brani, otto episodi d’autore, otto swing, otto tributi all’opera di Paolo Conte o di Sergio Caputo, otto spumeggianti brani dal sapore jazz, otto pezzi che ti ritrovi a canticchiare, otto pennellate di colore, otto diamanti sonori. Davide racconta storie di vita quotidiana, tra stress vari ed esilaranti situazioni così comuni, da risultare adattabili a tutti coloro che vivono una vita da single, da coinquilini, da studenti, da pendolari, o da impiegati e lo fa con il sorriso sulla bocca, un sorriso che cela una malinconia tipica della canzone d’autore. Lunga e nutrita la lista delle collaborazioni musicali che si dipanano nell’album, tutte a sostenere la verve di Zilli come fanno gli amici, quelli veri. “Coinquilini” è anche la prima produzione discografica del CircolOsteria Corte Manlio di Cormano (Milano), un esempio di unione tra cibo, vino e musica, perché un bel disco è come un buon bicchiere di vino o un buon piatto. Davide Zilli ha cucinato un disco cotto alle perfezione, tra i brani migliori “Coinquilini”, “Funny Milano”, “Jazzabestia” e “Il Primo Stipendio”. Peccato solo che nel libretto non ci siano i testi. Auguri a Davide, mi auguro che questo debutto sia l’inizio di una proficua carriera. L’insegnamento dell’italiano può anche aspettare.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Hellzapop

Finche' la luce e' accesa
Davide Cappelletti è Hellzapop, musicista monzese in attività da alcuni anni. Qualche brano sparso per compilation internazionali, un ep nel 2006 ed uno nel 2009, poi, finalmente, la prova sulla distanza di un album intitolato “Finché La Luce E’ Accesa”. Hellzapop è un progetto di musica elettronica strumentale, pensato con il germe dei brani da classifica, ecco perché in questa fatica Davide si è “legato” ad alcune voci che hanno portato i suoi pezzi su un altro piano di lettura e fruizione. Il disco inizia con uno strumentale che prepara gli ascoltatori a quello che succederà, quindi arriva “Bevo Sakè” con la sottile voce di Aua, tocca poi al primo singolo, “Non C’è Odio”, con la partecipazione di Luca Urbani (ex Soerba) e tutto d’un tratto si apre un mondo tra Bluvertigo e Battiato. Con il brano successivo (“Verdegoccia”) un’altra collaborazione, quella con Masatomo ed il sound si tinge di trip-hop. A metà dell’album ecco comparire una voce familiare, quella di Garbo, ai corì c’è anche Styloo, che in “Amore Su Strade” riesce a trasformare un brano di Hellzapop in un pezzo che potrebbe figurare in una delle sue ultime fatiche discografiche. Bello e toccante. Nella successiva, “La Notte Delle Stelle Di Plastica”, arriva Mao (do you remember?), che si plasma su una base elettronica che potrebbe anche diventare il secondo singolo estratto dall’album, un brano strumentale (“Fiore Di Bacca”) ci accompagna verso la voce di Sarah Stride in “Metallo Pesante”, altra ugola del panorama italiano da tenere sotto costante osservazione. Sul finire Lele Battista (voce dei defunti La Sintesi) in “Trasparente” ed un altro brano strumentale. Se amate l’electro pop di Bluvertigo, Soerba, Battiato, o Alice questo disco fa per voi senza indugi. Ma anche se volete addentrarvi in sonorità dal sapore zuccherino non perdete l’occasione.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Nuju

Nuju
I Nuju si sono formati a Bologna nel 2009 dall’incontro di alcuni musicisti con passate esperienze, come Marco Ambrosi e Giuseppe Licciardi (provenienti entrambi dai Rosaluna) e come gli Arangara e i Massa Furtiva eseguono una miscela di musica d’autore, pop rock e world music. Un singolo pubblicato alla fine del 2009, ha anticipato il primo omonimo album. Un disco prodotto da Lorenzo Ori (già al lavoro con Massimo Volume, Roy Paci, Kocani Orchestrar, Meg, Perturbazione e componente dei Technogod) che è riuscito nell’impresa non facile di dare le giuste quantità alle varie influenze della band, altrimenti troppo in bilico verso l’etno music, il cantautorato, o peggio ancora il pop rock che con i Nuju ha poco da spartire. Si parte con una “Bussola” in mano che ci indica l’itinerario da prendere, sulle ali del "Vento” possiamo sentire delle “Voci Di Marinai” in lontananza, ma all’orizzonte il “Mare” ci regala una strana sensazione e ci sentiamo “Liberi” di essere “In Due”, mentre qualcuno alle nostre spalle urla “Lasciami Stare” ed una “Disperata Poesia” gracchia da una radiolina a tutto volume, ma noi siamo i “Padroni” della nostra vita e “Col Permesso Della Luna” andiamo felici allo spettacolo del “Cirque Grand Paradis”. Insomma un album maturo come solo chi ha alle spalle tanta esperienza può riuscire a scrivere. Un parallelo (non solo per questioni geografiche) con Il Parto Delle Nuvole Pesanti. Un disco misurato. Un disco da canticchiare. Un disco da consumare. Un disco da ballare. Non ci credete? Provate ad ascoltarlo.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Le mosche da bar

Alla canna del gas
Con un nome così (preso a prestito, forse, dal film di Steve Buscemi) ed un titolo così (preso a prestito, forse, da come siamo messi tutti quanti) non si può che ascoltare questo cd album appena pubblicato dalla Ansaldi Records di Steno. E come Steno Le Mosche Da Bar sono “vecchie” conoscenze del panorama underground bolognese. Cristiano Merini (già nel Balkan Air, Granchi Aviatori, DNA2), Gus Ramone e Trebbo (già nei Rude Pravo) e Mirko “King Freak” (già nei Los Regis) hanno deciso nel 2008 di dare vita ad un gruppo di rock “alla vecchia”. Un quartetto che si sente, fin dalle prime battute di “Non Mi Avrai”, si diverte a suonare senza steccati. Il sound può essere un pezzo punk e subito dopo planare nell’hard rock, senza preclusioni di sorta, liberi come il vento di suonare quello che più piace ai quattro componenti della band. Una bella libertà d’azione maturata dopo tanti anni passati sui palchi a chiedere quella attenzione che è sempre più difficile ottenere. Allora da veri dopolavoristi della musica (si suona solo il sabato sera, perché durante la settimana si lavora) hanno scritto dodici pezzi e li hanno ficcati in un album che suona, eccome se suona. Dalla parte delle liriche il degrado umano, le difficoltà quotidiane, il malessere che attanaglia chi fatica ad arrivare alla fine del mese, chi si piega ma non si spezza, chi vorrebbe ma non osa, chi urla senza voce. “Alla Canna Del Gas” invece grida il suo disagio sociale e lo fa attraverso una musica potente, forte, un rock arcigno che ricorda i Ramones, ma anche i mostri sacri degli anni settanta o il crossover dei Red Hot Chili Peppers. Un frullato di rock da bere tutto d’un fiato. “Non Mi Avrai”, “Non C’è Posto Per Te”, “Vince Sempre Il Disordine”, “Sogni D’Oro” e “Mai Due Volte” tra i pezzi migliori. Una gran pacca. Quella di un tempo.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Said

Said
I Said sono nati nel 2002, come progetto parallelo dei Ba-Boo Gang (con all’attivo diverse produzioni discografiche). Finita quella esperienza Riccardo, Matteo e Manuel si dedicano a testa bassa ai Said. Un primo album di hard-core melodico nel 2003, poi un secondo cd nel 2005, “Magma”, dal suono più elettronico e meno californiano. Un incidente d’auto porta con sé Manuel ed i Said continuano in trio, registrando, nel 2007, il terzo album intitolato “Polis”. Il trio trova quindi sulla sua strada la chitarra di Pietro ed i concerti cominciano a fioccare. Fanno da spalla a diversi nomi italiani ed intanto pensano al nuovo album. Il nuovo ed omonimo cd esce sul finire del 2009. “Said” contiene alcuni pezzi (registrati nuovamente) provenienti da “Polis”, ma non possedendo quel disco non ho idea di quali siano, chiedo venia, ed altri nuovi di zecca. A dire il vero ascoltando l’album non si ha l’impressione che “Said” sia una specie di compilation, perché tutto si muove su un binario che procede dritto fino all’orizzonte. Il sound è ormai un post rock, post punk, post emo, che suona maledettamente coeso e compatto. Alcune digressioni come “Computer Dance” sembrano un po’ forzate, ma basta continuare e passare a “Carillon” per tornare a risentire i Said che fino a questo punto dell’album abbiamo apprezzato. Da “Gesù” e “Città D’Anime” i suoni si addolciscono dandoci la possibilità di prendere una boccata di ossigeno. Poi di nuovo a fare stage diving con la voce tirata di Ricky. Il sound “croccante” dei Said (definizione che campeggia nel loro my space) è servito a temperature altissime, basta eliminare alcune portate un po’ tiepide per avere davanti a sé un pranzo da favola. Post ska, post crossover, post cucina molecolare.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Mariposa

Mariposa
Gli apolidi Mariposa tornano dalle parti dei negozi di dischi con un nuovo album a distanza di quattro anni dal precedente. Un lasso di tempo che ucciderebbe anche gli U2, invece nel panorama underground italiano, band come i Mariposa possono permettersi di prendersi una pausa più o meno lunga e tornare “belli come il sole” con una manciata di canzoni, pronti a suonare in giro per la penisola. Già perché i Mariposa sono, da sempre, una combriccola di pazzi musicisti che si diverte un mondo a tagliuzzare, incollare, mescolare tutto e tutti. Ascoltare un loro disco (questo più di altri) è come gettarsi tra le braccia di trent’anni di musica nazionale o internazionale che sia. Echi di Lucio Dalla (“Sudoku”) vanno a braccetto con gli XTC (“Specchio”) in una girandola di richiami così centrifugati da diventare una crema da spalmare su titoli, copertina, arrangiamenti e liriche. Una piccola o grande astronave (decidete voi) pronta per conquistare nuovi pianeti ed instaurare la Repubblica della buona musica. I Mariposa con questo omonimo album strizzano l’occhio al pop in maniera più marcata rispetto al passato, anche se è l’ascolto ripetuto che permette di poter apprezzare appieno il loro lavoro. Ad ogni ascolto un nuovo mistero si rivela alle nostre orecchie, orecchie che si erano fermate alle melodie beatlesiane che avvolgono le canzoni. I Mariposa sono dei furbetti, che sanno benissimo di saper suonare e si divertono a spiazzarti ad ogni nota. Pop d’autore. Cantautorismo da gruppo. Avantgarde da circolo sociale. World music senza etno. Quattro anni avrebbero ucciso anche gli U2, invece i Mariposa ne escono vincitori. Segno evidente che i bei dischi rimangono.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

James Holden

Dj kicks
ames “Alexander Goodale” Holden è un dj/produttore/musicista inglese che ha legato in questi anni il suo nome ad alcuni remix entrati di prepotenza nelle classifiche di mezzo mondo. Dal suo particolare tocco si sono infatti lasciati sedurre Depeche Mode, Madonna, Britney Spears, Mercury Rev, Radiohead e New Order, insomma non proprio dei novellini. James ha una discografia lunga qualche chilometro, che oggi si allunga ancora di più grazie al nuovissimo capitolo della saga “Dj Kicks” della !K7, saga che a scadenze precise, da quindici anni, ci propone i migliori dj del mondo. James è di diritto tra i migliori dj del pianeta e lo testimonia la lunga scaletta dell’album. Venti pezzi mixati che passano con estrema disinvoltura dai Piano Magic a Grackle, dai Mordant Music al post rock elettronico dei Maserati, per arrivare ai Mogwai (uno dei due inediti del disco), Eric Copeland, Ursula Bogner ed un brano dello stesso Holden (il secondo inedito dell’album). Un omaggio al giovane inglese che spazia dall’elettronica alla psichedelia, dalla minimal alla pop dance, in un susseguirsi di frizzi e lazzi, sibili e batterie al silicio. Holden è stato spesso e volentieri definito un “genio”, un aggettivo che, considerando la sua giovane età, calza a pennello al suo percorso artistico. E poi diciamocelo, uno che si fa fotografare e si fa mettere in copertina con un ciuffo così, come si fa a non prenderlo sul serio. Un album perfetto per le vostre feste casalinghe, o per party privati, se volete stupire facendo finta di mixare brani difficilissimi tra loro. Electro per palati fini. Astenersi truzzi e emo.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Piero Delle Monache

Welcome
Nato nel 1982 a Pescara, Piero Delle Monache ha vissuto a Bologna fino al 2006 ed oggi fa il “pendolare” tra Roma e Bruxelles. Ha studiato per cinque anni all’Accademia Musicale Pescarese, seguendo svariati seminari, nel 2009 ha concluso il Biennio di Jazz al Conservatorio G.B. Martini di Bologna e nella sua vita artistica ha ottenuto diverse borse di studio e vinto svariati concorsi. Il suo nome è apparso in moltissimi cartelloni di festival sparsi per l’Italia e l’Europa ed il suo sax è comparso al fianco dei più talentuosi musicisti italiani. Anche diverse produzioni discografiche hanno potuto contare sulla sua presenza, ma oggi attraverso la neonata Alto Tenore arriva un minicd di sei pezzi a suo nome. Attorniato da Andy Gravish (tromba), Francesco Diodati (chitarra), Giovanni Ceccarelli (piano), Matteo Bortone (contrabbasso) e Alessandro Paternesi (batteria), Delle Monache riesce, nel ristretto spazio di una manciata di brani, a dimostrare il suo innato talento. Musica con stile, emozioni in primo piano e tanta voglia di coinvolgere l’ascoltatore in un percorso musicale impreziosito da spunti che escono dal jazz ed arrivano verso i lidi chill-out, dove delicate note si insinuano tra anfratti di roccia lavica. In chiusura la rivisitazione di “Miramare” affidata a Deli, che la trasforma in un momento di soft elettronica da antologia. Riuscitissima prima uscita per Alto Tenore, che ha curato nei minimi particolari anche l’aspetto iconografico del disco, con un digipack che graficamente strizza l’occhio alle produzioni altisonanti del mondo indie. Bravo. Bravi.

Formato: minicd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Sorry-ok-yes

Rubberized
Quando un gruppo manda in giro una rassegna stampa che comprende solo stralci di recensioni pubblicate all’estero la cosa diventa intrigante. Quando un gruppo viene chiamato a fare un tour di sette date nel Texas (sì, proprio quello di J.R.) la cosa assume connotati quasi epici. Quando un gruppo italiano viene definito in Inghilterra: “I Kinks aggiornati al 21 secolo”, la cosa diventa un tantino poetica. Quando un duo pubblica il primo album, dopo un ep ed un paio di demo che hanno portato ad aprire un concerto in America dei New York Dolls, non rimane che ascoltarlo e lasciarsi andare. Ebbene i Sorry Ok Yes con “Rubberized” non sono italiani, i loro nomi (Davide Materazzi e Simone Ferrari) nascondono sicuramente natali stranieri, altrimenti non si potrebbe spiegare come i nostri si trovino così a loro agio nello stoner rock di stampo statunitense di cui è intriso l’album. I paragoni sono facili ed ovvi, White Stripes su tutti, ma anche gli Artic Monkeys del terzo album e tutta la schiera di artisti che ultimamente hanno raccolto la sfida di suonare un rock blues malatissimo. Il disco, prodotto da Mac dei Negrita, scelta che sulla carta sembra strana, ma che ascoltando il risultato è assolutamente azzeccata, è una cavalcata tra deserti e highway perdute nel nulla del nulla. Un disco che scorre veloce come solo il rock riesce ad essere se frizzante e pestone. A questo punto un dilemma dovrebbe attanagliare il duo: “Abbandonare l’Italia e rifarsi una vita negli Stati Uniti, o continuare a rompere il c…o da noi cercando di smuovere qualcosa?”. Scelta ardua quando si ritorna a casa dopo un tour nel Texas. In conclusione andate a fare un giro sul loro myspace, merita, sì merita proprio, andate a vedere.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Grazia Verasani

Sotto un cielo blu diluvio
Grazia Verasani torna al suo primo amore (credo), la musica. Torna con il suo secondo album a distanza di quattordici anni da quel “Nata Mai” che conteneva alcuni diamanti che ancora oggi luccicano di luce propria. Torna dopo aver passato questi anni nelle vesti di scrittrice (otto libri), un personaggio, quello di Giorgia Cantini, interpretato nella fiction cinematografica e televisiva da Angela Baraldi ed aver fatto anche l’attrice, speaker, corista e doppiatrice. Una vita densa, come denso è questo “Sotto Un Cielo Blu Diluvio”. Un album che unisce i due amori di Grazia, la musica e la scrittura, infatti insieme al cd si può leggere un racconto breve che rimane comunque legato al mondo delle sette note. Grazia ritorna al suo primo amore e lo fa riportando nel 2010, in una sorta di viaggio spazio temporale, quattro pezzi del suo esordio discografico (“Con Le Mani Potrei”, “Nata Mai”, “Interiora” e “Nel Sangue”), che si amalgamano alla perfezione insieme ai restanti brani dell’album. Nel libro allegato, oltre al racconto, un testo di Grazia che racconta come sono nate le varie canzoni, ma se come me volete fare “vostri” i brani, quelli che danno emozioni e lasciano un segno, voltate pagina e non leggete. Grazia è tornata alla musica. La sua voce regala emozioni e ti si attorciglia alle budella. Un disco malinconico, intriso di una tristezza di fondo che cozza contro il mondo che urla attorno a noi. “Sotto Un Cielo Blu Diluvio” è una collezione di dipinti sonori. Un disco denso, spesso, ricco e corposo. La musica ha ritrovato una figlia perduta. Bentornata.

Formato: cd+libro


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Maximilian Hecker

I Am Nothing But Emotion, No Human Being, No Son,
Da Berlino con un carico di struggente malinconia e tristezza. E’ così che mi immagino Maximilian Hecker, quando alla mattina fa colazione con una brioche e beve un latte macchiato. Sì perché Maximilian, che incide dischi dal 2001, quando uscì “Infinite Love Songs”, è un artista triste. Non c’è luce nelle sue canzoni, non ci sono sorrisi nelle sue liriche. Maximilian è un poeta malinconico, che proprio nel buio dell’anima trova la forza per rimanere a galla e continuare a respirare. Più conosciuto in Asia, dove è praticamente sempre in tour e pubblica in anteprima i suoi album (questo è il sesto), Hecker ha inciso per importanti etichette (Kitty-Yo, V2), per poi aprire una sua personale casa discografica (Blue Soldier Records) e potersi sentire libero di scrivere la sua musica senza imposizioni o limitazioni. In questo album dal titolo lunghissimo, Maximilian, a differenza dei precedenti episodi discografici, lascia che sia il piano il protagonista delle canzoni, un piano sempre suonato con le lacrime agli occhi. Canzoni delicate, che in punta di piedi chiedono quella attenzione tipica dei dischi da ascoltare senza pensare ad altro. Maximiliam si è fatto crescere la barba, segno artistico di maturazione interpersonale, in considerazione anche che i brani sono stati registrati a casa del berlinese in modo da rendere ancora più scarni, rispetto al passato, le sue storie in musica. L’album è un melodramma interiore giocato su un equilibrio perfetto, con alcuni momenti di bellezza sublime (“Holy Dungeon”, “The Greatest Love Of All”, “Nana” e “Messed Up Girl”). Un disco per cuori infranti, per innamorati cronici, per chi ama la vita, quella meno caciarona.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)