Joy Division - Closer

Una copertina semplicemente perfetta. Una copertina che è riuscita, nella sua sublime eleganza, a condensare in pochissimi elementi (fotografici e grafici), il contenuto sonoro di una delle band più importanti del panorama inglese a cavallo tra i settanta e gli ottanta: i Joy Division. “Closer” è il secondo e l’ultimo album del gruppo, viene pubblicato ad un mese dal suicidio di Ian Curtis (voce) e risulta essere l’epitaffio del combo. La copertina, opera di Peter Saville, diventa immediatamente l’icona di riferimento dell’immane dolore che il disco trasuda ad ogni nota. Infatti è dal 1975, con l’avvento del punk, che il mondo musicale ha ricevuto una notevole scossa, non solo nella musica, ma anche in tutto l’immaginario che viaggia di pari passo con le canzoni. E’ quindi naturale che perfino le copertine dei dischi diventino un “qualcosa” di diverso, assumendo l’importanza di manifesti programmatici, vere e proprie opere d’arte dettate dall’urgenza di lasciare un segno indelebile nella storia, capolavori di sensibilità e non solo involucri senza alcun significato. Una spinta fondamentale a questo nuovo atteggiamento creativo in ambito musicale viene dettato dalla Factory Records e dal suo art director, Peter Saville, colpevole di aver influenzato schiere di grafici sparsi per il mondo, a cominciare dai “cugini” della 4AD. Si tratta di un nuovo stile e “Closer” ne è l’esempio più fulgido. La copertina nasce dopo un primo e veloce incontro tra la band e Saville. Peter, che aveva già lavorato con i Joy Division alla realizzazione della cover di “Unknown Pleasures”, si sta interessando ad alcune fotografie di Bernard Pierre Wolff pubblicate sulla rivista francese “Zoom”. Gli scatti raffigurano sculture e cripte cimiteriali, che Peter ama definire “barocche contemporanee”. Saville senza ascoltare nessun brano propone ai Joy Division di utilizzare una di queste fotografie e la band accetta. Peter Hook (basso) ha dichiarato successivamente che Saville conosceva così profondamente il sound dei Joy Division, che la band credeva fosse l’unica persona in grado di rappresentare visivamente le sensazioni del combo: “Noi creavamo emozioni per le orecchie e l’anima, mentre lui le faceva per gli occhi”. Scelta la foto Saville decide di costruire un carattere tipografico che riporti alla memoria una serie di font scoperti da un professore tedesco.

Manipolando il carattere di base Saville giunge ad un ottimo risultato finale, una serie di lettere assolutamente sobrie nella loro assoluta eleganza. Sul fronte viene deciso di inserire solo il titolo dell’album, mentre il nome dei Joy Division compare esclusivamente sul retro. La scelta di non pubblicare nessuna foto del gruppo, che aveva caratterizzato i precedenti dischi, viene mantenuta. Saville vuole dare un senso di neo classicismo alla copertina di “Closer”, ispirato in questa scelta dal lavoro che proprio in quei mesi sta facendo l’architetto Philip Johnson nel suo progetto edilizio per il palazzo della AT&T a New York. Il risultato finale è condiviso dal gruppo con “entusiasmo”, la copertina di Peter rispecchia alla perfezione il suono dell’album. Bernard Sumner dirà a tal proposito: “Non potevamo certo usare un tramonto di Los Angeles per la copertina di “Closer”, Saville ha messo a fuoco le nostre “paranoie” musicali senza nessuna forzatura”. Altra particolarità è il cartoncino usato per la copertina. Peter è infatti alla ricerca di un determinato colore (bianco sporco), che metta in risalto la foto ed al tempo stesso risalti al tatto, grazie a piccoli rilievi sulla superficie. Queste piccole “sciocchezze” si possono notare mettendo a confronto la stampa del disco inglese ed italiana. In quest’ultima il cartoncino utilizzato è di colore bianco candido ed assolutamente liscio. La foto in questo modo perde tutti i particolari che invece risaltano nella stampa anglosassone. Il tocco finale è dato da un riquadro con un filetto sottilissimo che racchiude gli unici due elementi in copertina: il titolo e lo scatto. Tale riquadro verrà poi eliminato nella stampa su cd a cura della Factory Records, che però mantiene il particolare cartoncino utilizzato nella versione in vinile. Il disco è pronto. Ian Curtis si toglie la vita, dopo aver visto un film di Werner Herzog intitolato “Kaspar Hauser”. I Joy Division sono finiti. Ad un mese di distanza dal suicidio “Closer” raggiunge i negozi di dischi e diventa il più grande successo della band. Nessun trafiletto pubblicitario, nessuna messa in onda radiofonica, nessun concerto promozionale, solo ed esclusivamente la forza interiore dell’album, ancora oggi maledettamente pregno di dolore, è la chiave di lettura del 33. I Joy Division si sciolgono diventando i New Order. Gli ascoltatori perdono uno dei punti cardine del post punk. Dolore e rassegnazione. Minimalismo e lacrime. “Closer” è un grande disco con una grandissima copertina.

PS: A metà degli anni ottanta un vinile pirata di stampa americana, contenente i primi quattro brani registrati nel 1977 dai Joy Division, “rubava” la copertina di “Closer”, diventando “Ideal For Living”. Tutto maledettamente identico, tranne la forza di un insieme unico ed inimitabile. Cosa sarebbe stato “Closer” senza la sua copertina? Sicuramente un disco diverso.


(Pubblicato il: 28/11/2013)