Independent Days Festival 2004

4-5 Settembre - Bologna Parco Nord
Il Congresso Internazionale che si tiene ogni anno a Bologna sullo stato dell'arte della musica rock ha avuto il suo corso. Independent Days 2004 ha rispettato l'impegno di presentare una più che soddisfacente panoramica di quello che c’è in circolazione al momento. Non sono mancate chicche per intenditori; nuovi nomi all’alba di un futuro radioso; nomi sconosciuti ai più che… sperano in un futuro radioso; mostri sacri e qualche tappa-buco che può sempre rivelarsi una piacevole sorpresa. Si è sentita la mancanza dei Deus, meno quella dei Keane. Ma partiamo dalla… fine. Heavy metal alla Judas Priests, hard rock alla Queen e glam alla Slade (tanto per non esimersi dai riferimenti obbligati): i Darkness sono la quintessenza del rock inglese eccessivo e barocco, ma tanto divertente e che fa tanto rock’n’roll party nite! Fra falsetti e assoli di chitarra infiniti, il gioco ormai stanco del botta-risposta con il pubblico è trasformato da Justeen Hawkins in una gag esilarante. Anche perché il cantante è fenomenale nella sua tutina elasticizzata in tessuto intrecciato di fili di lamé, incrociata nella schiena come un busto belle epoque… è quasi un peccato che dopo qualche brano si cambi d’abito (naturalmente), ma lo spezzato pantacalze-camicia aderente serve per potere abbassare il didietro e mostrare al pubblico un culetto bianco bianco che fa andare in delirio i moltissimi fans! Per fortuna hanno un grande senso dell’auto-ironia, senza il quale una band come questa non dovrebbe neanche mettere il naso fuori dai pub dove si è esibita come cover-band dei Queen fino a non molto tempo fa… a questo punto se scrivessero anche delle belle canzoni potrebbero (quasi) diventare il mio gruppo preferito… peccato che su questo versante non ci siamo proprio. C’è da dire che i Darkness hanno subito un handicap non da poco questa sera: salire sul palco dopo i Velvet Revolver. “Revolver di Velluto” e “Pistole e Rose” qualcosa in comune lo devono avere: andato per la sua strada Izzy Stradlin’ (ma a volte le strade si incrociano), dimenticato quel fighetto isterico di Axl Rose (anche lui si cambiava d’abito almeno 3 volte durante gli show), rimangono Matt Sorum alla batteria, Duff McKagan al basso e Slash alla chitarra. Aggiungete Scott Weiland alla voce (ex Stone Temple Pilot), vera icona del cantante rock’n’roll, ed ecco i Velvet Revolver. A dispetto di un disco “d’esordio” buono nel suo genere, ma non eccezionale, l’esibizione di questa sera è una lezione ai massimi livelli di come deve essere un vero rock’n’roll show, anzi, come suggerisce la scritta che troneggia enorme e luminosa dal palco: rock and fucking roll! Pantaloni di pelle o jeans aderenti (orrore il cavallo dei pantaloni al ginocchio), t-shirt o petto nudo e – per un attimo fuggente – Slash con la tuba… Un live bruciante, eccitante e travolgente. Siamo a un festival rock e questo è ciò che deve essere: musicisti al massimo della forma, perfetti sul palco in ogni movimento e posizione; un front-man istrionico che mai - neanche per un momento - fa rimpiangere l’assenza di Axl Rose; nessuna pausa fra un brano e l’altro tranne quando… ma facciamo un passo indietro e diamo un’occhiata al back-stage. Quando rodati promoter; attempati giornalisti, fotografi di lungo corso, “personale da palco”, tutti abituati ad incrociare i più quotati nomi del music star system internazionale, si aggirano con studiata indifferenza con carta e penna pronti all’uso e macchinetta fotografica accesa, vuol dire che il rock’n’roll ha ancora le sue star: gli ingranaggi fondamentali per fare funzionare il circo. E così è stato per i Velvet Revolver, gli unici a provocare questa onda di elettricità. Quando hanno presenziato alla conferenza stampa e soprattutto quando, con altrettanta studiata indifferenza, Daff McKagan e Slash hanno stazionato fra camerini e zona catering in attesa di salire sul palco: il primo ha trascorso un buon quarto d’ora in amabile conversazione con Wayne Kramer (MC5!) facendosi fotografare da tutte le angolazioni; il secondo, più ricercato e ambito, si è concesso in brevi ma intense apparizioni per foto con fans e firme di autografi. Non si ha notizia di eventuali scene di gelosia da parte di Matt Sorum. Tornando davanti al palco, dicevo di un concerto senza interruzioni tranne quando (mentre c’era già chi si stava ponendo la fatidica domanda “ma lo faranno un pezzo dei Guns?”) la band si ferma per presentare un amico: ladies and gentlemen mr. Izzy Stradlin’! Il gunner mancante sale sul palco ed immediatamente attaccano “It’s So Easy”, dal primo album dei Guns’n Roses “Appetite For Destruction”. La ciliegina sulla torta. Di carattere storiografico, invece, l’esibizione degli MC5: i padri del garage-rock, antesignani del punk, citati in ogni colta conversazione sul genere (tanto basta per ricavarne l’età). Ne sono rimasti 3 su 5 (Wayne Kramer, Michael Davies, Dennis Thompson). Come vedere la fotografia di un dipinto: te lo puoi immaginare, ma non hai visto l’originale. Gli ospiti che si alternano sul palco riempiono il vuoto: la cantante dei Bellreys su tutti. In ogni caso, si potrà sempre dire: io c’ero. Sabato ha riservato piaceri di altro tipo, meno dirompenti ed eccessivi forse, ma sempre altrettanto intensi. E non mi riferisco ai Sonic Youth, i quali sono “seminali” per definizione, “ipnotici” per tradizione e “mitici” per consacrazione (ormai una certezza consolidata), ma piuttosto della band dell’anno, gli scozzesi Franz Ferdinand. I Franz Ferdinand sono passati nel giro di pochi mesi dall’esibizione al Covo Club di Bologna (capienza poche centinaia di persone) ad un tour degli States e ritorno come co-headliner prima dei Sonic Youth! Come può un gruppo passare da una club a uno stadio in un tempo così breve e reggere la botta? Bisogna chiedere a loro perché ci sono riusciti benissimo. Talmente bene che un’ora di concerto sembra passare in 15 minuti. Per niente scontato il ringraziamento al Covo che li ha ospitati quando ancora erano “famosi per pochi”. E per non ripetermi rimando alla recensione del primo concerto già ospitata in queste pagine. Per un caso fortuito anche il gruppo precedente aveva calpestato il palco del Covo un anno prima con mia relativa recensione sempre su MusicPlus (il Covo ed io portiamo forse fortuna alle band britanniche?): the Libertines. Prodotti da Mick Jones, i Libertines sono una delle prime band che escono dai confini inglesi ritentando una nuova forma di punk-rock dopo un decennio di brit pop. Ci riuscirebbero anche piuttosto bene se non fosse per i devastanti problemi di dipendenza da eroina del cantante (non è una leggenda metropolitana quella che narra di pugni in faccia fra cantante e chitarrista al Covo dopo il concerto…). Attualmente in cura disintossicante (l’ennesima), il tour del nuovo album va avanti con un sostituto e in questa forma “anomala” si sono presentati all’Independent. Tutto questo non giova alla band ovviamente, che pur con un concerto degno, quasi scompare se paragonata, per provenienza e affinità, all’esibizione dei Franz Ferdinand. Lars Fredriksen and the Bastards (uno dei cantanti dei Rancid) provvedono ligi allo show atteso: punk-hard core americano cattivo e bastardo come da auto-definizione. Da segnalare la presenza di Lars Fredriksen ed altri membri della band la sera precedente in uno stand della Festa di Liberazione di Bologna dove suonava lo storico gruppo punk-rock bolognese The Stab, dopo avere provato un paio d’ore nelle sale prove Vecchio Son di via Vezza.… (tutto rigorosamente vero). Anche il palco “off”, quello dell’Estragon, ha ospitato esibizioni notevoli: gli Everlast e i Radio 4, ad esempio: funk, hip hop, rock & dance in proporzioni variabili con risultato comunque esplosivo. Notevole la versione della hit dei Radio 4 “Dance To The Underground” in un encore finale con ospiti alle percussioni il batterista e il chitarrista dei Libertines. Successo anche per i bolognesi Forty Winks che nonostante l’orario improbabile delle 4 circa del pomeriggio in contemporanea con i “big” nell’Arena hanno raccolto un pubblico di giovani punk rockers numeroso ed entusiasta (dopo decine di date in Europa, USA e Giappone un posto sul palco dell’Independent spettava loro di diritto). Non ho più spazio… ma ce n’erano degli altri: Mark Lanegan, Mondo Generator, Melissa Auf Der Maur, Thee S.T.P., Tre Allegri Ragazzi Morti, The Dirtbombs, Flogging Molly, Yellowcard, Young Heart Attack … Il rock è morto?


(Pubblicato il: 28/11/2013)