recensioni

Anthony Kiedis

Scar Tissue - Autobiografia del leader dei Red Hot
Questa autobiografia è stata pubblicata in Italia nel 2005, ma da alcuni mesi si trova sugli scaffali delle librerie specializzate nella vendita di libri a metà prezzo. Ho quindi deciso che sarebbe diventata la mia lettura durante le vacanze estive. Eccomi in camping tra tedeschi gonfi di birra (stereotipo confermato), italiani troppo rumorosi (altro stereotipo confermato) ed il mio libro. Decido di indossare, per l’occasione, i miei pantaloncini da mare dei Red Hot Chili Peppers di una nota marca americana di abbigliamento da surf e comincio a leggere. Tre giorni dopo riemergo dalle 453 pagine di “Scar Tissue” completamente svuotato. Anthony ci accompagna nella sua vita di tossicodipendente, tra spacciatori cattivi, poliziotti incapaci, chili di “roba” da iniettarsi in vena e storie d’amore che si rincorrono l’una dopo l’altra, mentre il nostro diventa il cantante di uno dei gruppi rock più importanti del globo. La musica, infatti, in questa autobiografia non è la parte centrale del racconto, ma viene piuttosto relegata in un angolo tra le miserie che la dipendenza da droga porta con sé e la morte che ha sfiorato più di una volta Kiedis, sia che si tratti di Hillel, Cobain, Phoenix, o Gloria Scott. Anthony assomiglia di più ad un derelitto, che adesso si fa iniettare ozono, piuttosto che ad un cantante al testosterone come vuole la tradizione dell’hard-core punk americano. “Scar Tissue” mi ha fatto veramente incazzare. Di ritorno dalle vacanze ho riposto i miei fiammanti pantaloncini RHCP nell’armadio, dove possono riposare in pace e sono andato a “guardare” i miei dischi del gruppo americano. Non sono ancora pronto per riascoltarli. Riproverò domani.

Formato: libro


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Dj Tib & Qalamity

I'll be there
La nascita di una etichetta discografica che ha deciso di mettere in commercio solo 45 giri e download è una bella notizia. La scelta dei 45 è poi una vera e propria sciccheria. Se poi aggiungiamo che la Soupy Records è una casa discografica italiana l’en plein è fatto. Mi ritrovo così tra le mani le prime due produzioni, Dj Tib & Qalamity e i Pamela Tiffins (recensiti in queste pagine), entrambi caratterizzati da due belle copertine , questa opera di Erica Calardo. Invece a proposito di Dj Tib possiamo dire che ha lavorato per prestigiose case discografiche sparse per l’Europa, che adesso il suo territorio di attività è Berlino e che ultimamente ha lavorato con Dj Lugi. Qalamity è invece un ex membro della SdcPosse, ha inciso diversi dischi , per poi dare vita alla AudioPlate Records e trasferirsi a New York. Per la AudioPlate “I'l Be Three” era uscito un anno fa, sottoforma di demo cd con tre versioni della canzone, ottenendo ottime recensioni su diverse riviste specializzate. Il brano è infatti un ottimo esempio di reggae hip hop ben confezionato, con il giusto groove e le voci ben calibrate. Sul retro la versione strumentale che prende il nome di “100 Years”. Acquisto consigliato per svariate ragioni. La prima perché se siete amanti del reggae hip hop questo è decisamente un bel pezzo, secondo perché è il primo numero in catalogo della Soupy Records, terzo perché è su 45 giri, quarto perché è racchiuso in una bella copertina e quinto perché (lo decidete voi). Supportare queste realtà invece che acquistare l’ennesimo giochino elettronico vi farà onore. E poi provate a scaricare il vinile da Internet. Provate.

Formato: 45 giri


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Gaznevada

Mamma dammi la benza
Dopo la pubblicazione del primo nastro degli Skiantos (“Inascoltable”), tocca ora ai Gazneveda raggiungere lo splendore del suono digitale con “Mamma Dammi La Benza”, trasposizione in cd del loro primo nastro pubblicato dall’allora neonata Harpo’s Bazar. E come in ogni ricorrenza che si rispetti, ecco che a 30 anni di distanza (79-09), i Gaznevada in formato punk sono di nuovo tra noi. Sì, perché la band bolognese fu un calcio allo stomaco dell’Italia canzonettara, rifacevano i Ramones e cantavano testi in italiano violentissimi. Su di loro è stato scritto tanto, dal mitico concerto in Piazza De L’Unità a quello sospeso in Piazza Verdi per il lancio di borse d’acqua sul palco e sul mixer da parte del “Movimento Studentesco”, che non comprendeva come i Gaznevada avessero potuto “vendersi” al nemico. Sì, perché i Gaznevada del primo nastro diventarono altro, sperimentarono, maturarono altri suoni, si lasciarono andare alla creatività. Ecco perché riascoltare oggi quelle nove canzoni del ’79 ci riporta ad un passato che durò un soffio, ma che ha lasciato una eredità imponente. Oltre al cd audio, il video di “Telepornovisione” ed un libro nel quale i protagonisti raccontano un’avventura che è diventata leggenda. Il Centro D’Urlo Metropolitano, che cambiò nome in Gaznevada, è in questa testimonianza sonora e visiva. Leggete tutto d’un fiato il libro ascoltando “Roipnol” o “Nevadagaz” e pensate di essere al Punkreas (locale della Bologna underground) o dentro alla Traumfabrik, mentre Andrea Pazienza disegna una tavola ispirata dalla musica dei Gaz. Storia. Volenti o nolenti.

Formato: libro + cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

did

Kumer solarium
Arrivano dalla Detroit italiana i quattro Did, in pista da otto anni, ma che solo adesso hanno deciso di debuttare sulla distanza di un album. Arrivano dopo un paio di ep che hanno portato il combo ad esibirsi lungo lo Stivale e all’estero. Arrivano con una carica di adrenalina che stenderebbe un cavallo da corsa. Il disco parte subito in quarta ed arriva ai 100 all’ora in un secondo, praticamente appena “Hello Hello” inizia ad emettere un suono. Non badano a spese i Did, che sembrano una versione cattiva dei Devo, gruppo proveniente da un’altra città legata all’industria automobilistica (Akron), non badano a spese perché in “Kumar Solarium” ci sono effetti a non finire e citazioni ad ogni angolo che mettono al tappeto anche i più nerboruti ascoltatori. I Did sono un gruppo che ha ascoltato i P.I.L., ma anche i Gang Of Four, Liquid Liquid, Maximum Joy, Bush Tetras ed ha applicato il post punk tribale di questi artisti al lato pop della musica. Mettete a tutto volume “Breakdance” e cercate di muovere il vostro corpo al ritmo della canzone, ci siete riusciti? Bravi. I Did hanno scritto un disco per le discoteche all’avanguardia, per le feste organizzate da intellettuali annoiati dai soliti dischi, per dj che devono trovare il nome da lanciare nella loro serata “resident”. I Did sono stati remixati da mezzo mondo, segno evidente che la loro musica “spacca”. Electro pop che non rinuncia a momenti di assoluto amore. I Did sono di Detroit (quella italiana) e vanno a mille all’ora. Provate a stare dietro a questi funamboli dei suoni. Auguri. Tanti auguri, perché non li prenderete mai.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Daniel Johnston

Is And Always Was
Se non conoscete le gesta di Daniel Johnston dovreste ascoltare il suo ultimo album e dopo averlo assimilato sapere che……Ma andiamo con ordine. “Is And Always Was” arriva a tre di distanza da “Lost And Found”, disco prodotto da Mark Linkous, leader degli Sparklehorse, che aveva preso a cuore l’arte del cantautore americano, mentre oggi dietro alla consolle di regia c’è Jason Falkner, noto per aver lavorato con Beck, Air e Paul McCartney. Ebbene Jason riesce nell’impresa di portare le canzoni di Daniel ad un livello superiore rispetto alle sedute di registrazione casalinghe tipiche della sua ormai ultraventennale carriera. Qui Daniel diventa un cantante che sembra si diverta anche quando canta “Without You”, o assume le sembianze di Springsteen mentre intona “I Had Lost My Mind”. Se poi la musica americana è tra i vostri ascolti non potete perdervi nemmeno “Freedom” e “Tears”. Ma visto che la prima canzone in scaletta si intitola “Mind Movies” sentitela con attenzione e pensate a tutta quella miriade di cantautori piagnucolanti che solitamente mettete nel vostro stereo. Daniel oggi vive in Texas, il suo manager è il fratello Dick, nel 2008 è stato realizzato un documentario sulla sua vita d’artista, è anche un pittore e gira in lungo e largo per gli Stati Uniti facendo impazzire platee di manager in giacca e cravatta, o bifolchi cowboy che sparano ad ogni cosa in movimento. Daniel è puro rock’n’roll, mentre noi, anche se ci impegnassimo per tutta la vita, lo diventeremmo solo in un unghia di un piede. Daniel è un malato di mente a cui è stato diagnosticato un disturbo bipolare. Non ve lo aspettavate, vero? Soprattutto dopo aver ascoltato “Is And Always Was”.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Curtis Jones and the Gossip Terrorists

The Assassination Of Alabama Whitman
Curtis Jones (da non confondere con l’omonimo chitarrista Americano) è il frontman di una formazione partenopea che esordirà con il primo album, “The Assassination Of Alabama Whitman”, venerdì 30 novembre, alla vigilia della notte più tetra dell’anno. Non è un caso se la band ha scelto questa data per uscire alla luce, perché i Curtis Jones & The Gossip Terrorists si muovono tra gli anfratti bui e lugubri della musica. Tra le influenze metterei al primo posto gli Interpol (ascoltate a tal proposito “Kiss The Toad” o “Vincent Van Gogh”), seguiti dagli Editors e dai capi scuola del genere, i Joy Division. Non ho idea se Curtis & C. avranno la forza di salvare il rock’n’roll, o se dovranno soccombere quando saranno illuminati a giorno dai faretti di un palco, ma di sicuro potranno trovare tanti estimatori nei fan di Franz Ferdinand, Echo And The Bunnymen, Cure o Pixies. I quattro hanno infatti dato corpo ad un disco dalle fosche tinte, ben suonato e ben arrangiato. Un disco che non concede troppo al pop sbarazzino da classifica, ma affonda le sue radici tra il dark ed il post rock. Liriche in inglese e non troppi orpelli, fanno di “The Assassination Of Alabama Whitman” un disco da esportare all’estero. Ditelo alla Discipline che ne ha curato la pubblicazione. Tra i pezzi migliori, i già citati, insieme a “Before The Wave Arrives”, “Confidential” (morrisseiana fino al midollo), “Cheap Talk” (un classico per gli amanti del surf rock) e “Youth Of Today” (brano d’atmosfera che mi ha ricordato l’adolescenza quando mandavo a memoria i brani del gruppo omonimo, altra storia). Un disco di spessore, come il dark/post rock può essere. Una bella sorpresa.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

AA.VV.

Oltre Il Muro - Live Modena 2009
Questo cd è la registrazione live di una bella serata che si è tenuta a Modena, presso L’Off, quando si sono esibiti i sei gruppi finalisti del concorso “Oltre Il Muro” e le quattro menzioni speciali attribuite dalla giuria ad altrettante formazioni. Il concorso chiedeva ai partecipanti un brano ispirato alla legge Basaglia, in occasione dei trent’anni dalla chiusura dei manicomi. La partecipazione è stata decisamente alta e la giuria ha faticato non poco prima di selezionare i finalisti. Alla prova dal vivo, i Namastè (che aprono il cd) hanno convinto tutti i presenti con il loro suono a cavallo tra reggae, folk, rock e pop, una ottima prova testimoniata da “Colori che T’Appertengono” e “Il Muro” ed hanno vinto il concorso. Al secondo posto si è invece classificato Padre Gutierrez, che con “Entra Satana” e “Come Un Matto”, ha dato prova di una capacità non comune di intrattenimento musicale, decisamente sopra la media, come lo è stato il terzo classificato, Tommy Togni con “Nesso Sconnesso” e “La Pioggia Mi Rende Felice”. Da ricordare anche i Vanesia, Maurizio Toffanetti ed i Judy Lee. Infine i “veri” vincitori morali di questo concorso e di questa serata: i solisti ed i gruppi nati nelle case di cura come Villa Igea. I veri vincitori sono stati i Fuali, i Darkiska, Luca Liviero e i Fermata Fornaci. Sono loro che hanno dato lustro a questo concorso e a questa stupenda serata. In tanti dovrebbero imparare da loro. Dalla loro voglia di partecipare e di esserci. Bravi. Decisamente bravi. Il cd è in omaggio e si può ritirare (fino ad esaurimento della tiratura) presso il Centro Musica. Ascoltatelo ad alto volume, anzi a tutto volume.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Vegetable G

Calvino
Per chi non conoscesse le gesta dei Vegetable G ecco un piccolo “Bignami” della loro storia. Nascono in Puglia nel 2002 e dopo un primo anno di attività pubblicano un lp intitolato “A Perfect Spring”. Nel 2005 è la volta di “Epic Mono”, mentre nel 2007 è pronto per la massa speranzosa “Genealogy”. Oggi il terzetto arriva a dare alle stampe il quarto e più difficile album. Infatti basta vedere il titolo, “Calvino”, per capire che ci troviamo di fronte alla summa del pensiero Vegetable G. Non è un caso che la band si è palesemente ispirata all’opera di Italo Calvino “Le Cosmicomiche”. Infatti se col precedente “Genealogy” ipotizzavano una discendenza aliena per la razza umana, con “Calvino” sembrano aspettare il Big Bang che un giorno riporterà tutto all’inizio della vita. Per chi non ha avuto il piacere di ascoltare le loro precedenti opere, sarà utile sapere che la musica del terzetto è figlia degli XTC più gioiosi e spregiudicati. Un pop dalla forma così scanzonata da risultare troppo intelligente per l’ascoltatore medio, quello che ama farsi scivolare addosso la compila di tendenza appena pubblicizzata dal network radiofonico di turno. I Vegetable G sono invece pronti per prendervi tra le loro braccia, giocando un nome altisonante della cultura italiana. Da segnalare anche la collaborazione di Enzo Moretto dei A Toys Orchestra. Altro tassello che aggiunge spessore al disco. I Vegetable G mi hanno ricordato un grande gruppo italiano, quello degli Allison Run. Lunga vita ai Vegetable G. Lunga vita agli XTC. Lunga vita al pop sbilenco.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

The Pamela Tiffins

Brand new red toy
Ore 6.24 di un martedì d’ottobre. Drrriinnn (o qualsiasi trillo faccia il vostro telefono cordless). [Si] “Andrea, sono Scanna, è un casino che non ci sentiamo”. [Già è un po’ di tempo, come stai, Alpe e Peter tutto ok? Cosa stai facendo, avete sempre i Pamela Tiffins?] “Infatti ti chiamo perché è uscito un 45 dei Pamela per una nuova etichetta, la Soupy Records, che ha delle basi operative sparse per l’Italia, Roma, Campobasso e Bologna”. [Bella notizia, il gruppo adesso da chi è formato?] “Siamo io alla chitarra/voce ed Alpe alla batteria/voce, non mi dire anche tu che vogliamo fare i White Stripes, perché con questo singolo siamo diventati ancora più ruvidi e cattivi”. [Dammi altre notizie] “La copertina è un disegno di Alpe e sul lato B abbiamo rifatto un pezzo del 1965 dei Savoy’s, una band di proto garage punk di grandezza immane, che si intitola “Can It Be”. Invece sul lato A c’è un inedito, “Brand New Red Toy”, che urla la sua disperazione in un casino infernale di voci e musica tiratissima. Siamo molto soddisfatti del nuovo corso della band dopo un periodo di inattività”. [E in futuro cosa vi aspetta?] “Dovrebbe uscire un altro singolo a 45 giri per una etichetta americana e stiamo organizzando un po’ di concerti per presentare il nuovo singolo. Una seconda vita dei Pamela Tiffins che ci sta elettrizzando. Se vuoi ti faccio contattare dai ragazzi della Soupy e ti fai dare il singolo. Ci terrei a sapere cosa ne pensi”. [Allora aspetto una loro chiamata, mi ha fatto piacere risentirti, saluta Alpe] Beh, adesso dovete scusarmi, devo sentire il 45, chiamare Scanna e tornare a dormire.

Formato: 45 giri


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Akron family

Set 'em Wild, Set 'em Free
La Famiglia Akron è tornata sugli scaffali dei negozi di dischi con il loro quarto album (se si escludono split, dischi dal vivo e tirature limitate a 500 copie), un disco licenziato in Europa dalla Crammed Discs, etichetta che per molti ascoltatori del Vecchio Continente è sinonimo di qualità. E di qualità è intriso questo disco pieno zeppo di sonorità anni settanta, mischiate con sperimentazioni folk tipiche del presente. Un disco difficilmente classificabile, se non fosse che le precedenti fatiche artistiche hanno visto la presenza della Young God di Michael Gira (Swans), etichetta ed artista impegnato nella ricerca di matrice post rock. Ma non allontaniamoci da “Set ‘em Wild, Set ‘em Free” perché gli Akron Family sono la risposta americana al delirio sperimentale dei Radiohead, sono acustici senza essere stucchevoli, sono mistici senza fare proclami di affiliazione. Il terzetto newyorchese, che vive tra la Grande Mela e la Pennsylvania, gioca a rimpiattino con le melodie e poi entra nel tunnel della cacofonia (“Gravelly Mountains Of The Moon”) senza accorgersi di questo cambio di sonorità, con una naturalezza disarmante. Gli Akron Family aprono il disco con una canzone (“Everyone Is Guilty”) che gli anglofoni chiamano “killer song”, tanto è potente e perfetta. In un mondo musicale che sembra aver riscoperto il folk tra le musiche più richieste e seguite, gli Akron Family mettono una pietra miliare sulla strada costellata di nomi, dischi, progetti, e concerti. L’unica cosa riguarda la bandiera americana, nel caso vi irriti, perché qui è presente in tutte le salse. Folk psichedelico, post rock, avant-garde.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Casa del vento

Articolo 1
Recensire un disco come “Articolo Uno” della Casa Del Vento (decimo album in carriera) è impossibile. Impossibile perché quando si tocca il tema del lavoro (in questa Italia anni 2000), quando si intitola il primo pezzo in scaletta con un numero, “7”, il numero dei morti alle acciaierie della Thyssenkrupp di Torino, quando i brani sono intercalati dalle voci degli operai, quando ci si imbatte in una cover di “Redemption Song” di Bob Marley, quando si vedono in fila i marchi di coloro che hanno permesso la realizzazione di questo disco (dalla Regione Toscana al Ministero del Lavoro della salute e delle politiche sociali, passando per la CGIL, l’Unione Europea ed una miriade di Comuni), quando senti la voce di Ascanio Celestini, quando vedi le foto nel libretto che accompagna il cd, quando ascolti “Primo Maggio” e ti ricordi che è la festa dei lavoratori e non una kermesse televisiva, quando vedi la foto in copertina, quando riconosci alcuni dialoghi presi da “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì, che ha concesso il loro utilizzo, quando la Casa Del Vento inizia a raccontare, nelle note del cd, questa ultima fatica con le seguenti parole: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, quando c’è la collaborazione di David Rhodes (chitarrista di Peter Gabriel da 25 anni) in “Dal Cielo”, quando non poteva mancare in un disco così importante Francesco Moneti dei Modena City Ramblers, quando tutto questo accade in un album è umanamente impossibile pensare di raccontare a parole, che sarebbero decisamente prive di senso, un disco così potente. Scusate, chiedo venia. Non posso recensire “Articolo Uno”, sarebbe un affronto che non voglio avere sulla coscienza.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Roots connection

Animystic
Parlare di un disco postumo è sempre un groppo in gola. Poco importa se non conoscevi personalmente Enrico Micheletti, perché quello che conta è che la musica ha perso un grande chitarrista blues. Uno di quelli che ha trascorso la vita a cercare le risposte nella sua chitarra e nella sua voce da navigato musicista, anche se a qualche migliaio di chilometri dal Delta del Mississippi. Un disco postumo perché i Roots Connection nella formazione a trio non esistono più. Non possono più esistere. Un disco postumo che è il secondo dei Roots Connection, progetto che vede Fabrizio Tavernelli, in una delle sue mille vite artistiche, cimentarsi con la musica del diavolo insieme al compagno d’avventura Fabio Ferraboschi. Un disco postumo che ti arriva dritto al cuore al primo ascolto. Forse non avete ben compreso. Ho detto al primo ascolto. Infatti basta aprire la porta su “Wake Up” che si viene travolti da un suono potente, mistico e pulsante. La vita vi chiama ai vostri impegni (qualsiasi essi siano), ma voi non riuscite a staccarvi dal “Animystic”. “Hard Time Killing Floor” di Skip James è lì pronta ad abbracciarvi, “Done Gone”, “You Got To My Head Like Wine”, “I’m Going To Live The Life I Sing About In My Song” di Thomas Dorsey, con la vibrante voce di Lucia Tarì, sono le vibrazioni che non avvertivate da tempo girare per il vostro corpo. Se poi in chiusura ci sono “Dream Baby Dream” dei Suicide e “Ring My Bells” di Bob Dylan bisogna proprio dire che “Animystic” è un grande disco di blues contaminato. A proposito, il titolo dell’album deriva dalla fusione di due parole: animismo e mistico. Un disco postumo. Un disco ricco di pathos.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Massimo Volume

Bologna Nov. 2008
Bologna 1993, in Via Delle Moline, dentro ad un bar, incontro i Massimo Volume per la prima volta nella mia vita, siamo a pochi giorni dall’uscita del debutto per Underground Records, “Stanze”. I Massimo Volume avevano già fatto gridare al miracolo con un nastro che aveva squarciato il cielo musicale italiano. Si parla del come e del perché e mi accorgo, dopo pochi minuti, che questa band ne farà di strada. Non mi capita di sovente di sentire questo fremito ma quel giorno lo avverto preciso e netto. Bologna 2002, i Massimo Volume chiudono i battenti dopo quattro album ed una colonna sonora. Bologna 2008, è il 7 novembre, i Massimo Volume hanno suonato in luglio a Torino dopo sei anni di letargo. All’Estragon prende il via un tour di quindici date che porterà i Massimo Volume ad esibirsi davanti ad un pubblico di “vecchi” estimatori e giovani fan. La réunion, scelta molto di moda nelle ultime stagioni, ha dato il frutto sperato, i Massimo Volume non si sono imbolsiti, non sono diventati una fotocopia sbiadita di loro stessi. Il gruppo ha annunciato che lavorerà ad un album di inediti, ma nel frattempo possiamo prendere fiato ed immergerci nel live registrato “a casa” il 7 novembre. Undici brani che sono un tuffo al cuore. Appena il suono della batteria di Vittoria inizia e chiama a raccolta gli altri Massimo Volume, sembra che la band non abbia mai staccato la spina, anzi, sembra decisamente che le prove settimanali di questi ultimi anni (che non ci sono mai state) abbiano dato ancora più corpo al sound del combo. I Massimo Volume sono tornati ed in un attimo sono di nuovo a sedere al bar di Via Delle Moline. Ne faranno di strada questi ragazzotti. Ne sono sicuro. Ne faranno.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Stardog

Oltre Le Nevi Di Piazza Vetra
Gli Stardog sono nati nei primi anni del nuovo millennio e nel nuovo millennio si muovono, prima con un minicd intitolato “Venid A Ver La Sangre Por Las Calles”, poi con la svolta delle liriche in italiano che prende forma attraverso “Come Una Febbre Mi Brucerà”. Ora tocca ad un album vero e proprio dimostrare al mondo intero le loro capacità artistiche. Se dovessimo dare un giudizio in base alle collaborazioni si potrebbe pensare al massimo dei voti, perché dentro a “Oltre Le Nevi…” ci sono Andy (Bluvertigo), Luca Urbani (Soerba), Davide Arneodo (Marlene Kuntz), Paolo Milanesi (La Crus) e Blixa Bargeld (Einstuerzende Neubaten). Se invece dovessimo dare un giudizio in base alle influenze che appaiono qua e là, dovremmo stare comunque alti perché tra Bluvertigo, Soerba, Baustelle, Bowie e Garbo, i nostri Stardog sembrano a loro agio. Se invece dovessimo dare un giudizio sulle canzoni della band, saremmo costretti ad un giudizio più che lusinghiero perché gli Stardog riescono a muoversi tra sonorità elettroniche e strumenti “classici” mettendo un’aurea di malinconia struggente sui loro pezzi che ti strappa il cuore. Questo è un disco autunnale da ascoltare sotto le coperte. Poco importa se i milanesi sanno cosa significhi Piazza Vetra, per noi non meneghini ci basta ascoltare “Sai, Carmelo”, “Tridimensionale” e “Gli Addii Di Anita”, per farci una nostra idea di cosa voglia dire “neve”. Complimenti a Manuel Lieta per la scrittura. Molto coinvolgente. Ah dimenticavo, tra le influenze ci metto anche New Order e Marlene Kuntz. Un disco metropolitano, senza il grigiore della metropoli.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Get back Guinozzi

Carpet madness
Partiamo dalla cover presente in questo album. Partiamo da “Police And Thieves” pubblicata da Junior Murvin nel 1976 e rifatta in versione punk reggae dai Clash. Ebbene i francesi Get Back Guinozzi riescono a riproporla in una versione pop che rasenta il capolavoro. Bene, posso passare al resto dell’album dandovi, se già non conoscete le gesta del duo, qualche informazione. I Get Back Guinozzi sono attivi dal 2004 nel sud della Francia ed hanno postato tre brani nell’archivio demo della Fat Cat Records, rimanendo in contatto con l’etichetta fino all’invio di un demo album (l’anno scorso), che ha fatto letteralmente impazzire la casa discografica, che ha subito fatto firmare un contratto al duo, nel frattempo diventato un quintetto con base tra Londra e la Francia. Finite le notizie prettamente biografiche si può passare all’album, un vero e proprio viaggio extrasensoriale nei meandri di un pop allucinato, dove riecheggiano i primi Cure, ma anche gli Smiths, una chitarra caraibica, le voci dei B52’s, gli anni sessanta, il dub, gli Animal Collective, l’humour dei Residents e l’intellighenzia dei Talking Heads. I Get Back Guinozzi si divertono a gettare una vena di ironia noir sull’intero album e me li immagino eseguire i dodici pezzi del disco stando su un piede solo, con il corpo piegato in una specie di sbilenco quadro astratto. I Get Back Guinozzi sono così pop da non poter entrare in classifica, perché farebbero sfigurare tutto la musica leccata e superprodotta del mondo intero. I Get Back Guinozzi sono una boccata d’aria fresca. Riempite i polmoni.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Markonee

See the thunder
Avevamo lasciato i Markonee tre anni fa con il debutto dedicato all’inventore della radio, Guglielmo Marconi, da cui hanno preso il nome. Oggi li ritroviamo con un secondo album uscito su vinile blu elettrico, con copertina apribile ed una foto che ritrae la band dentro ad un teatro. “See The Thunder” riprende il discorso dove era stato interrotto. I cinque musicisti bolognesi sguazzano tra riff assassini, una voce che va dove osano le aquile ed una sezione ritmica che non perde un colpo. I Markonee hanno aperto ultimamente i concerti italiani di Rainbow, Gotthard e D.A.D., segno evidente della loro maturazione artistica, riconosciuta anche in ambito internazionale. Tra richiami a L.A. Guns, Saxon, Def Leppard, Motley Crue, Judas Priest e Y&T;, i Markonee si divertono come matti con queste dieci tracce equamente divise tra momenti di puro furore hard rock e ballate al chiaro di luna. Da segnalare la bella apertura con “Way 2 Go”, la chiusura del lato A con “The Big K”, la cavalcata di “The Cross Between The Lines” ed un brano che, solo per il titolo, “I Believe In Father Christmas”, merita la vostra attenzione. Stefano Peresson (ex Danger Zone, un culto per tutti gli amanti del metal anni ottanta) deve essere contento di come i Markonee sono cresciuti in così poco tempo. Per tutti gli amanti del hard rock melodico una band da ascoltare e vedere dal vivo. Ah, dimenticavo, al momento è stato pubblicato solo il vinile (la versione cd arriverà), quindi se non siete “armati” di un giradischi potrete solo godere visivamente di “See The Thunder”, chi invece possiede ancora una puntina potrà divertirsi ed esibirsi nella sua performance di “air guitar”. Consigliati. Altamente consigliati.

Formato: lp


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Janara

Crocus, Mint & Fennel
Scrivere questa recensione non è semplice. Non è semplice perché il nome dell’etichetta mi riporta al primo album di un altro gruppo, i Diathriba, che con gli Janara condividono due componenti (batteria e chitarra). Tra l’altro il batterista è una figura chiave di Musicplus, un personaggio cresciuto numero dopo numero in una sorta di telenovela cartacea tra racconti di calchi di parti anatomiche e scalate vertiginose nella piramide professionale di chi conta. Non è facile perché gli Janara con tutto questo c’entrano poco o nulla e perché il passato è ieri ed il presente è oggi. Quindi devo convincermi che il vecchio non può ritornare, perché è finito, morto e sepolto sotto una spessa coltre di suoni dark anni ottanta. Oggi gli Janara, con una voce femminile che ricorda i gorgheggi di Liz dei Cocteau Twins (ecco riemergere il passato che fu), sono altra cosa. Sono altra cosa in virtù del fatto che fanno gothic rock, hanno un nome che richiama le streghe del Sannio e le liriche in inglese possono esportare il loro progetto oltre i confini nazionali. Gli Janara ed i loro sette pezzi in scaletta danno corpo a fiabe nordiche, dove fate e gnomi si prendono per mano e camminano leggiadri in fitti boschi pieni di funghi allucinogeni. Gli Janara sono la colonna sonora dei vostri sogni ed incubi. Bella la copertina, che mi ha ricordato il singolo “Tishbite2” dei Cocteau Twins (ancora loro). Se un domani la batteria sarà sostituita da un suono di piano saprete che tutto è andato come doveva andare. Il passato non ritorna. Il futuro è ancora da scrivere.

Formato: minicd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Elisabetta Fadini

Desmodus
Desmodus è un vampiro nato dalla mente di Garbo. Una sorta di doppio dell’artista meneghino. Un personaggio a metà strada tra l’uomo e la donna, tra il buio e luce. Desmodus ha preso la voce di Elisabetta Fadini, attrice e regista, con alle spalle molteplici esperienze artistiche dal Living Theatre alla musica contemporanea, passando per reading e jazz. Questa voce, che recita non canta, è insieme al tessuto sonoro che la sorregge un disco. Un disco scritto da Garbo che a tal proposito dice: “Desmodus nasce dall’esigenza di fermare il tempo, ecco perché ho voluto poco più di trenta minuti di eternità sonora dove evolvermi con la voce di Elisabetta Fadini. Desmodus è la proiezione di chi è “artista”, di chi si alimenta del sangue del tempo, ma non della gente, perché un artista non ha paura del prossimo, ma della scadenza del tempo”. “Desmodus” è un disco che non è un disco, nato alle fine degli novanta come progetto letterario di Garbo, è stato musicato solo ultimamente, forse in attesa di una voce adatta a dare forma a questo personaggio, voce che Garbo ha molto probabilmente trovato in Elisabetta dopo una collaborazione al brano “Voglio Tutto”, compreso nell’album “Come Il Vetro”. “Desmodus” non è un disco che si può ascoltare mentre si cuoce o ci si allena per strada, perché la tua mente deve essere concentrata sul sound gotico che evoca e sulle parole taglienti come lame affilate. “Desmodus” è un non disco per chi è ancora curioso di ascoltare la sua anima o sentire il suo cuore battere all’impazzata. Desmodus vive tra due mondi, quello dell’immortalità (e quindi dell’arte) e quello della mortalità, dove piccoli uomini si affannano a condurre una misera vita. Un disco non disco. Una sfida.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Fryars

Dark Young Hearts
Dietro al nome Fryars si nasconde un ventenne londinese che si chiama Ben Garrett. Alcuni singoli (racchiusi nell’album) hanno fatto sì che i riflettori, soprattutto in Gran Bretagna, si accendessero sul progetto di Ben e sulla sua musica, registrata sul letto di casa e che si rifà ai grandi Nick Cave, Daniel Johnston, Patrick Wolf, David Bowie e Lloyd Cole (soprattutto per il timbro vocale). Ben però, a differenza dei nomi appena citati, risulta essere molto più sbarazzino ed accattivante nelle melodie, così naturali che sembrano scritte da un bambino di cinque anni. Il disco di debutto sulla lunga distanza è quasi il prosieguo del primo album dei Depeche Mode, dopo il quale Vince Clarke lasciò il gruppo per inventarsi prima gli Yazoo e poi gli Erasure. Non è un caso che in “Visitors” ci sia come backing vocals un tale Dave Gahan, che con i Depeche Mode ha ancora un legame molto stretto. Garrett è il volto nuovo del synth power di antica memoria, quando Human League, Heaven 17, Visage, Ultravox, Soft Cell, ma anche Tears For Fears, dettavano legge sul pop internazionale. Garrett ha scritto un album godibilissimo, che dal vivo presenta insieme ad alcuni amici musicisti. Un disco nato nella sua cameretta, che mi immagino tappezzata di poster e piena di ammennicoli elettronici. Se volete sentire un bel album di synth pop con alcuni singoli da antologia (“Jerusalem”, “The Ides”, “Visitors” e “Olive Eyes”) andate a colpo sicuro. I Fryars vi faranno impazzire di gioia. Astenersi ombrosi e scontrosi. Da una cameretta alla conquista del mondo.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Nosound

A sense of loss
Giancarlo Erra ed i suoi Nosound sono giunti al terzo album, dopo lo spettrale “Lightdark” del 2008 ed in otto anni di attività si sono ritagliati uno spazio ben definito nel panorama internazionale, dove la parola art rock ha un significato ben preciso. I Nosound, cantano in inglese, mescolano psichedelica, ambient, musica contemporanea, progressive e perfino post rock. Insomma sono un ensemble tecnicamente molto preparato, non potrebbe essere altrimenti considerando i generi in cui si muove e ormai pronto per quel riconoscimento dovuto ai grandi progetti artistici. Una musica evocativa ed intensa si dipana nei sei movimenti racchiusi nell’album. Musica per sognare ad occhi aperti, mentre magari ci si immagina di camminare su un pianeta lontano dalla Terra, mano nella mano con un essere alieno. Con i Nosound sembra che la musica ti si attacchi alla pelle come una pellicola trasparente che riesce a proteggerti dalle avversità della vita, uno schermo contro la furia di una vita quotidiana che prima o poi giungerà al collasso. Pezzo principe del cd è “Fading Silenty”, che con i suoi 8 minuti e 27 secondi, ti accompagna con una melodia malinconica, mentre la nostra mente vaga tra i ricordi più struggenti della nostra vita. I Nosound sono arrivati al terzo album che elargisce più livelli di ascolto. Si può decidere di lasciarlo scorrere in sottofondo cogliendone in maniera inconscia la riposante bellezza, o farlo nostro in ogni singola nota per riappacificarsi con noi stessi e godere dell’istante che stiamo vivendo. Un grande album, come capita difficilmente di trovare sul proprio cammino.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Lunacy box

Lunacy box
Debutto sulla lunga distanza per i Lunacy Box, band emiliana che aveva già dato prova di sé con alcune uscite discografiche ufficiali e non. Debutto per un gruppo che, probabilmente per colpa della voce al femminile di Ms Larsen, mi ha ricordato i Lacuna Coil di Cristina Scabbia, anche se decisamente meno metal nelle intenzioni e nei fatti. Il sound dei Lunacy è infatti vicino a certe sonorità electro gothic o industrial. Tra i nomi di riferimento potremmo citare Siouxie, Joy Division, ma anche Nine Inch Nails e Nitzer Ebb. Insomma i numi tutelari di un’area musicale che ha fatto del buio il suo unico e solo verbo. Poco importa se alla chitarra e elettronica c’è un certo Cristiano Santini (ex Disciplinatha), perché il retaggio del passato non c’è, qui si canta in inglese, si realizza una cover di “Hey Man, Nice Shot” dei Filter, a proposito l’intro a questo brano mi piace un casino, si cerca un aggancio con l’estero che potrebbe essere una svolta in termini di ascoltatori, si eseguono due canzoni, “Wrong Lane” e “Save”, molto intriganti (non a caso aprono l’album), ci si inventa una copertina tetra e scura come solo gli adepti al “dark” possono capire e fare. I Lunacy Box hanno dimostrato di quale condimento sono fatti, un giusto pizzico di violenza, un poco di cattiveria, la giusta dose di chitarre da far sanguinare i padiglioni auricolari, il tutto mescolato con melodie e buon gusto. Se i nomi che ho citato prima non sono di vostro gradimento vi aggiungo Evanescence e perché no, anche i Cure di Robert Smith. Adesso non potete dire che i Lunacy Box non meritano la vostra attenzione. Ottimo esordio. Che altro aggiungere.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Grand archives

Keep In Mind Frankenstein
Se avete amato il primo omonimo disco dei Grand Archives uscito l’anno scorso, vi farà piacere sapere che è da poco uscito il secondo capitolo sottoforma di album. Stessa pasta sonora, quindi stesso amore incondizionato. Se invece non conoscete le gesta di questa band di Seattle e siete rimasti fermi alla Sub Pop targata grunge, sappiate che da queste parti si respira un’aria assolutamente pacata, un’atmosfera fatta di canzoni acustiche e suoni così delicati da far piangere anche il più grande st…o che conoscete. Qui ci sono i Beach Boys che guardano CS&N;, mentre gli Shins stanno cercando di remixare un brano dei Fleet Foxes. Dieci canzoni chiuse in appena 35 minuti d’ascolto, il perfetto minutaggio per decidere di ascoltare ancora una volta e poi ancora un’altra l’intero album. Perché “Keep In Mind Frankenstein” rischia di passare inosservato al primo ascolto e sarebbe un vero peccato liquidare questo disco tra quelli che sì, sono carini, ma non aggiungono nulla al genere. Invece i Grand Archives di Mat Brooke (ex Band Of Horses) vanno ascoltati e riascoltati, perché ad ogni nuovo passaggio potrete scoprire nuove fantasie musicali che vi erano sfuggite. “Silver Among The Gold”, “Oslo Novelist”, “Dig That Crazy Grave”, “Lazy Bones” tra le cose migliori. Un disco di indie folk che cita i classici senza diventare un mero esercizio di stile. Mat è rimasto quasi da solo al timone della band, dopo l’abbandono di Ron Lewis, ma non sembra preoccupato. Indie folk per cuori infranti, o per chi possiede una luce particolare negli occhi. Ispirati.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)

Alessandro Benvenuti

Capodiavolo
Una bella sorpresa. Una piacevole sorpresa questo disco di Alessandro Benvenuti, che lascia nell’armadio il vestito del comico e veste quello austero e senza piega del cantautore. Però non quello di un semplice cantautore come potrebbe essere chiunque decida di raccontare la sua vita o quella degli altri, ma del cantautore con i controfiocchi (per non dire nessuna parolaccia). Un cantautore che sembra scriva canzoni da sempre (leggendo la sua biografia lo si scopre), un cantautore che, accompagnato da un quintetto pseudo rock, mette in fila parole come fossero caramelle dai più svariati gusti. Alessandro Benvenuti è arrivato al suo debutto discografico con canzoni inedite, dopo alcuni dischi e tanti spettacoli con la Banda Improvvisa e la rivisitazione di diversi classici della musica italiana, al cui cospetto ci si può solo avvicinare in punta di piedi. Arriva al debutto con una tale forza d’animo che mi piace immaginarlo canticchiare queste canzoni mentre si fa la barba al mattino (opps, sembra che sia proprio così) e guarda fuori dalla finestra la sua Toscana. Sì, perché in questo disco si respira l’aria delle case del popolo, di feste paesane che sembrano lontane anni luce ed invece in questa regione sono ancora vive e vegete, di allegria tipica di chi ha capito cosa bisogna aspettarsi dalla vita e cosa bisogna dare alla vita. Benvenuti si è “inventato” una nuova professione, quella del cantautore, o per meglio dire quella dell’interprete di musica d’autore. Dalla piazza si alza un lungo applauso ed una voce: “Bravo Benvenuti, adesso facci ridere”, scusate, il solito cretino.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)