LSE X-Tension

Marti Jane Robertson, tecnico del suono, americana di Seattle, ha collaborato con tanti artisti, dagli Steely Dan di Gaucho, David Sanborn, Art Garfunkel, a Mango, PFM, Vasco Rossi, Ornella Vanoni, Eros Ramazzotti, Mina, Claudio Baglioni. Da anni collabora con Ivano Fossati, del quale ha registrato anche l’ultimo album, che ora accompagna in tournée per i teatri d’Italia.
Per un progetto sonoro come quello di Fossati, che problemi ci sono, dal punto di vista tecnico, nei teatri che visitate?
“Beh… ci sono dei problemi, perché i suoi dischi sono molto complessi. Ivano non ama le macchine, non ama portarsi dietro tante cose preregistrate, per cui il concerto è tutto suonato, c’è una piccolissima parte registrata, dei loop di percussioni che in studio sono stati realizzati da Claudio Fossati e che sono stati riportati dal vivo su ADAT. Il resto è tutto suonato”.
Immagino che i problemi possano derivare anche dalla complessità degli ambienti da ricreare dal vivo.
“Ambienti, ma anche dinamica. Come sempre nella musica di Ivano ogni elemento ha il suo peso specifico, è importante: non c’è mai nulla in più o in meno di quello che serve”.
Dal lavoro dei musicisti sul palco e dal tuo al mixer che tipo di risultato viene fuori? Rifate esattamente il disco?
“Semmai si cerca di rifare i pezzi nuovi: il disco è uscito poco prima che il tour partisse, per cui questi concerti servono anche a farlo conoscere. Per i pezzi nuovi cerchiamo di avvicinarci al disco; per i vecchi invece si fa esattamente il contrario, si rivisitano in un modo totalmente nuovo”.
La collocazione del concerto in un teatro, un ambiente acusticamente molto più adatto di un palasport, per te è una sicurezza o no?
“Assolutamente no!!! Il teatro con la musica amplificata crea tutta un’altra serie di problematiche. I teatri sono ambienti fatti apposta per il non amplificato, per diffondere naturalmente il suono dal palco verso la sala. Per cui in un teatro che suona di più, dove il palcoscenico di legno suona di più, io ho ancora più problemi: delle volte devo cercare di superare con il volume quello che mi arriva naturalmente dal palco. In questi ambienti non è concepibile tenere il volume dell’amplificazione troppo alto, anche perché poi vengono le Soprintendenze alle Belle Arti a limitare il livello, per paura di provocare danni alle strutture. Praticamente bisogna trovare un equilibrio tra il suono acustico e quello amplificato. Un ulteriore problema, quello più complesso da controllare per me, sono gli ambienti, che in teatro diventano difficili da gestire. Non posso mettere un riverbero sul rullante che già si sente acusticamente: o ne metto un quintale, che poi mi esce dalle casse… Al contrario non posso asciugarlo, quindi scelgo un compromesso. Il live, l’ho imparato negli anni, non è di certo come lavorare in studio: devi avere un altro approccio. E’ un compromesso dal punto di vista tecnico, però dà molto da un punto di vista emotivo. Si scoprono delle possibilità che non si sapeva di avere”. Per un concerto al chiuso come questo che tipo d’impianto hai scelto?
"d&b;, che uso ormai da diversi anni, fornito da Alibi Music Service di Torino: un ottimo impianto, molto preciso, con amplificazione dedicata, che può creare dei problemi negli spazi chiusi (questo impianto in particolare) perché ha un raggio di diffusione del suono piuttosto stretto: intorno ai 35° per ogni cassa, per cui per coprire tutta la platea ho bisogno di due gruppi di casse per ciascun canale, mentre con altri sistemi con irradiazione più ampia me ne basterebbe uno. In teatro poi ci sono sempre problemi di visuale: a volte devo ridurre l’impianto perché il pubblico seduto ai lati non vede!”
I teatri spesso hanno diversi ordini di palchi o galleria: per arrivare fin lassù ti bastano i due sistemi laterali, oppure devi rinforzarli con qualche altro elemento?
“In casi come questo tiriamo su (sospendiamo) delle casse centrali, piccoline, e incliniamo le casse superiori ai lati del palco verso l’alto. Il d&b; è un P.A. efficientissimo, molto mirato, non serve troppa potenza. Ho usato lo stesso impianto all’aperto; al chiuso ho bisogno di qualche elemento in più di quello che sarebbe strettamente necessario solo per problemi d’irradiazione del suono”.
Come riprendi e processi la voce di Ivano? Hai un set di base, che usi nella maggior parte dei casi, oppure cambi di brano in brano?
“Come tutte le persone che trovano una cosa che funziona, lui è abitudinario. Come microfono gli piace lo Shure Beta 58: negli anni ne abbiamo provati altri, ma alla fine siamo sempre ritornati a questo. In catena ho un de-esser che ho messo ieri (ogni tanto provo delle cose!), un compressore valvolare Summit; su un microfono (quello davanti) ho messo anche un equalizzatore esterno, perché ogni tanto ho dei problemi di larsen, tra le casse sul palco e la sua postazione microfonica molto avanzata, ma dopo le prime date l’ho escluso sempre. Come ambienti per ogni brano cambio: ho costruito degli ambienti durante le prove, dedicati a tutti i pezzi. Ne ho a disposizione 8 per la voce, e vado avanti e indietro per ogni pezzo”.
Che sistema utilizzi per controllare questi cambiamenti?
“Manuale! Ho un mixer Midas XL3, più uno Yamaha 02R. Con lo 02 speravo di riuscire a fare un cambiamento di effetti, ma diventava un po’ macchinoso. Io ho un PC, ma non ho un programma di sequencer, per cui il mio assistente cambia i programmi sullo 02, sul quale ho il ritorno effetti, e nei due pezzi dove abbiamo l’ADAT ho i ritorni dell’ADAT, che vanno sul palco ma partono da me”.
Che tipo di monitoraggio avete utilizzato sul palco?
“Tradizionale. L’unica con in-ear monitoring è la violoncellista che risultava difficile da gestire: il violoncello è molto sensibile, ha un microfono davanti allo strumento, si verificavano problemi di larsen”.
Quanto dura abitualmente il vostro sound-check?
“Io ci metto circa 45’ a fare l’impianto, più un line-check. Se non sono tranquilla con l’equalizzazione dell’impianto non sarò tranquilla per tutta la sera! Posso quasi non fare il sound-check: mi basta sapere che l’impianto va bene. Per i musicisti naturalmente non è così, perché loro devono abituarsi al palco. Dopo il line-check, una volta che s’inizia a suonare dipende… a volte c’è più tempo, relax, e allora li lascio suonare un po’, delle volte per un’ora e mezza: gli piace prendere il calore del posto. E poi si sentono più tranquilli: più son tranquilli, più il concerto viene meglio.” Il gruppo:
Fabrizio Barale (chitarra el.)
Pietro Cantarelli (tastiere)
Claudio Fossati (batteria, percussioni)
Ivano Fossati (voce, pianoforte)
Martina Marchiori (violoncello, organetto indiano)
Saverio Porciello (chitarra ac.)
Beppe Quirici (basso)


(Pubblicato il: 28/11/2013)