White Stripes, Greenhornes, Franz Ferdinand, The Rakes

White Stripes, Greenhornes, Franz Ferdinand, The Rakes
TORNA LA GRANDE MUSICA AL PALA DOZZA DI BOLOGNA
Lo storico “palazzo dello sport” bolognese, in pieno centro, ritorna ai fasti di un passato musicale non ancora del tutto - e da tutti - dimenticato. In tanti hanno suonato qui: Iggy Pop, Devo, Simple Minds, Madness, Iron Maiden, Motorhead, Jethro Tull, The Cult… quasi sempre di lunedi sera, dopo la domenica di basket e prima del giorno delle pulizie… e poi improvvisamente si sono spente le luci ed è calato il silenzio sul palco. Il miglior posto della zona per capienza, visibilità e acustica non ha più ospitato i grandi nomi della musica internazionale (qualche cantautore nazionale ha ancora avuto il privilegio, così come qualche trasmissione televisiva, dove l’esibizione diventa inevitabilmente finta anche quando si suona dal vivo). Il nuovo Pala Malaguti di Casalecchio di Reno, non è meglio, è solo più grande; può servire, ma non sempre. Non conosco il motivo del veto alla musica al Pala Dozza (il test antisismico lo aveva già superato con Iggy Pop…), so che se ne è sentita la mancanza. Ma in questo ultimo scorcio del 2005 qualcosa succede. Due sono i nomi che hanno di recente scosso critica e classifiche, due sono le band che, partite “dal basso”, hanno imposto il proprio stile in un mercato musicale, quello del rock, costantemente alla ricerca di nuova linfa vitale: gli americani White Stripes e gli scozzesi Franz Ferdinand. E suonano entrambi al Pala Dozza: un miracolo di Natale? Unica data italiana per i White Stripes: il sold out è scontato, così come lo sono i colori predominanti di quel palco stilosissimo, con alberi finti e roadies con la giacca: rosso e bianco. Entrano Jack & Meg e dopo i primi brani bisogna ammettere quello che già si sapeva: Meg non serve a niente. Fa figura, certo, se no il palco sarebbe un po’ vuotino; serve perché ha reso possibile architettare il caso “marito-moglie” – “fratello-sorella” ed aumentare l’interesse dei media affamati di gossip, ma i White Stripes sono Jack White: il suo stile alla chitarra, la sua voce, la sua interpretazione, che cambiano a seconda del brano rendendolo ogni volta un musicista diverso. I suoni sono ormai lontani dalle scelte lo-fi degli esordi, pur mantenendone intatto lo spirito. Ed è tutto impeccabile e soprattutto trascinante, in un crescendo di partecipazione ed emozione. Citazione speciale per Jolene (cover del famoso brano Dolly Parton), un brano dalle reminescenze Zeppelliniane da brivido. Lo spettacolo è all’altezza delle aspettative, un pubblico piuttosto vario - per età, attitudine e gusti musicali (basta osservare le t-shirts in circolazione e il look in generale…) – diventa uniforme nel gradire lo show. E’ comunque incredibile come una sola persona possa dare tanto. Già, dimenticavo, Meg ha picchiato i due timpani che aveva davanti e usato il pedale della grancassa (non sempre insieme); ha pigiato qualche tasto di una tastiera con una mano e, davanti a un sintetizzatore vintage, ha spinto addirittura qualche bottone, ma con una certa titubanza. L’apertura di serata è affidata ai Greenhornes. Una scelta adatta e per niente casuale: concittadini dei White Stripes: Detroit; background musicale comune: garage lo-fi, suonato in maniera più fedele ai canoni originali (e con la metà dell’impianto a disposizione dei White Stripes: effetto lo-fi assicurato); e poi sono amici. Tanto amici che il nuovo side-project di Jack White, la band che si chiama Raconteurs, è formata oltre che da Jack anche da due dei musicisti dei Greenhornes. Altro sold-out assicurato per la perfetta accoppiata Franz Ferdinand e The Rakes. I Rakes sono uno dei nomi di spicco dell’interessante panorama degli “esordienti” britannici (un solo ottimo album all’attivo “Capture/Release”); una “promessa”, come si suol dire, che dopo l’esibizione diventa una promessa mantenuta: belli i brani anche dal vivo (non è per niente scontato), in grado di tenere un grande palco e un grande pubblico. E infatti, nonostante la fervente attesa per gli headliners, sia l’attenzione che la partecipazione del pubblico sono alte. I Franz Ferdinand sono in tour di presentazione del loro secondo attesissimo album che ha già nel titolo la risposta ai prevedibili commenti di pubblico e stampa “You Could Have It So Much Better”: avreste potuto averlo molto meglio (della serie: come tagliare la testa al toro, non rompeteci le palle e lasciateci lavorare). Un secondo album non posticipabile per i ritmi di mercato, composto on the road e registrato nelle pause del tour. Infatti per molti il nuovo lavoro non è “bello” come il primo (ma sarebbe fantastico se fosse un esordio). Rimane il fatto che l’esperienza accumulata sui palchi di mezzo mondo e la ancora viva incredulità di quello che stanno vivendo, rende il live dei Franz Ferdinand, oggi, un’esperienza che merita di essere vissuta. L’entusiasmo di un palazzetto pieno compensa quell’ombra di stanchezza che ogni tanto emerge nella performance, inevitabile conseguenza di due anni vissuti freneticamente. Sono ancora i primi brani a ricevere le ovazioni più intense, ma quando attaccano Walk Away, il nuovo singolo, tutta la platea, da sotto al palco alle porte di ingresso, inizia a saltare all’unisono con un effetto anche visivo notevole. Difficile pensare ai Franz Ferdinand come una delle tante meteore musicali degli ultimi decenni; questo deve essere solo l’inizio. Così come si spera che questi due appuntamenti siano solo l’inizio della ripresa di una programmazione musicale per il Pala Dozza, che si chiama ancora così, nonostante il tentativo – fallito - di cambiarne il nome in Land Rover Arena (un po’ di tradizione e che diamine!).


(Pubblicato il: 28/11/2013)