Wire, Libertines, MCR

WIRE<br>
Link (Bologna), 22.11.02<br>
Un grande nome della scena… quale scena? Già allora, quando nel 1977 esce l’album d’esordio “Pink Flag”, in piena epopea brit-punk, gli Wire sono e vengono riconosciuti come “anomali” nella scena punk del periodo e resistenti a qualsiasi catalogazione. “Art-School Punk” fu una definizione della loro musica agli esordi, per mutare già nel secondo album “Chairs Missing” in “uno strano tipo di pop” (avant-pop?), che diventò ancora più “strano” nel terzo album, “154”. Alfieri contemporaneamente di punk rock, new wave, elettronica e noise sperimentale è impossibile rievocarne la storia in poche righe, ma i primi tre memorabili album rimangono pietre miliari. Album ai quali sono seguite una infinità di produzioni, incluse anche parecchie cadute di stile. Arrivati al 2002, alla soglia della sessantina, cosa avranno ancora da dire? Ma fedeli a se stessi gli Wire riescono ancora a stupire con una doppia uscita discografica eccezionale (due cd separati non un album doppio): “Read and Burn 01” e “Read and Burn 02” sono due album che si ricongiungono a quanto idealmente lasciato in sospeso nel 1977 con l’esordio di “Pink Flag”. Nessuna revocazione nostalgica e opportunistica di quanto hanno già provato di sapere fare, ma un magnifico approfondimento, ampliamento e rinvigorimento dell’art school punk da loro inventato (anzi per loro inventato), arricchito senza inutili fronzoli dall’esperienza trentennale di musicisti eccezionali, come ha ampiamente dimostrato il live bolognese. Il Link pieno come nelle migliori occasioni, pubblico attento di estimatori e fans della band, rimasti tutti esterrefatti dall’esibizione. Quando i quattro signori attempati, ma in ottima forma fisica, attaccano l’assalto sonoro durato quasi due ore sembra veramente incredibile. Abili sperimentatori di suoni potenti ed eclettici che come spesso è accaduto nei loro concerti propongono brani che devono ancora essere incisi, solo un breve accenno al passato nel bis con “Reuters” e “Lowdown”. Sono i brani nuovi ad essere costruiti come quelli vecchi o sono i brani vecchi così all’avanguardia da non risentire per nulla del passare del tempo? O quando si tratta di grande musica tutto ciò ha poca importanza? Non cedere di un millimetro a quello che impone il mercato discografico pare sia ancora possibile; dare ragione a chi continua a ripetere che “non ci sono più le bands di una volta” diventa quasi inevitabile dopo un concerto così, che mette d’accordo gli estimatori di generi musicali considerati “diversi”, se non in contrasto, e in cui l’età, l’aspetto o la tendenza perdono completamente di rilevanza.

THE LIBERTINES<br>
Covo (Bologna), 23.11.02<br>
Non si può mancare ad uno degli appuntamenti più appetitosi della stagione del Covo Rock Club. Ma più che da un seguito di fans i Libertines sono attesissimi da una schiera di musicofili incalliti, che vogliono ascoltare, vedere ed emettere l’insindacabile verdetto che risponde alla seguente domanda: “sono i Libertines, dopo anni di inutile attesa e ripetuti inganni, l’ultima frontiera del punk inglese da esportazione o siamo di fronte all’ennesimo bluff?” . L’album d’esordio promette bene: “Up The Bracket” scorre via veloce e accattivante, con delle indovinatissime canzoni e azzeccate melodie. Proprio per questo è meglio modificare la inevitabile definizione di genere in “pop punk”, e il termine “pop” non è per niente dispregiativo (come inspiegabilmente a volte accade), bensì riferito a quella eccelsa tradizione, squisitamente britannica, la cui nascita è per comodità universalmente identificata con l’apparizione dei Beatles sulla scena musicale e più recentemente riportata in auge dagli Oasis. Ma ecco i Libertines sul palco: età media 23-25 anni, si alternano in due alla voce solista. Un look da palco molto “punk 77”: magliette “customizzate”; giubbottini cortissimi e aderenti di pelle nera, batterista a petto nudo come vuole la tradizione (soprattutto con un fisico come quello), jeans sdruciti e aderenti per completare il tutto; ma a conferma della sopracitata definizione, se il lato punk serve per il look da palco, nel pomeriggio durante il sound-check l’impatto visivo era decisamente sul versante pop: giacconi parka larghi e trasandati che uniti al taglio di capelli a caschetto dava loro un aspetto decisamente “fratelli Gallagher”… E la musica? Il concerto è durato poco, per imprevisti problemi tecnici di audio e per conseguente (o antecedente) nervosismo diffuso nella giovane band. Se ti piace l’album non deludono, suonano come ti aspetti e le canzoni piacciono… ma questo concerto non ha sciolto il dubbio fondamentale: l’attitudine c’è o non c’è?

MODENA CITY RAMBLERS<br>
Fuori Orario (Taneto di Gattatico, RE), 27.12.02<br>
I MCR giocano in casa stasera: di solito si suol dire “nessuno è profeta in patria”… come andrà a finire? Va a finire che dentro il ristrutturato Fuori Orario (ora più grande) non c’è posto neanche per alzare un braccio e portare il bicchiere di birra alla bocca, stipato all’inverosimile dall’osannante pubblico di questa band. Con l’ultimo album “Radio Rebelde” i MCR hanno corso il rischio di perdere il già notevole seguito consolidato nel corso dell’ultimo decennio: cambi di formazione e l’allontanamento sempre più deciso dai territori musicali più propriamente “irish-folk” degli esordi potevano essere fatali. I Modena sono invece riusciti in due difficili compiti: accompagnare il proprio pubblico in questo cambio e crearsi un nuovo e nutrito seguito. L’allargamento degli orizzonti musicali che ha dato vita ad un “patchanka padano” o “combat folk” che dir si voglia ha colpito nel segno. I MCR aprono le danze al Fuori Orario con una infuocata versione de “La Locomotiva” che ha l’effetto desiderato ed inevitabile: travolgente e dirompente. Tutto il concerto mantiene alto il ritmo e il pubblico gradisce: poga, canta e alza i pugni chiusi (pare sia una vecchia tradizione difficile da estirpare da queste parti..). Cisco presenta i brani: tutti con un preciso motivo di esistere. Accurata la scelta tra le canzoni più vecchie, come “Ahmed l’ambulante“, che seppure riarrangiate per meglio amalgamarsi con quelle nuove, riscuotono immancabilmente un grande successo. Un concerto “sangue e sudore” per un pubblico insaziabile e una band instancabile! L’encore finale è scontato, ma non può mancare, quasi una sorta di esorcismo per continuare a sperare che un altro mondo – migliore - è possibile: la band esce dal palco, il pubblico intona e canta per intero “O Bella Ciao” per poi passare ad un ritmico coro “da stadio” che ha come oggetto il Presidente del Consiglio… ritornano sul palco i MCR e quando Franchino fa uscire dal whistle (flauto tradizionale irlandese) le prime note del canto partigiano Cisco avverte tutti: “su le mani su O Bella Ciao” e il delirio finale si compie, in un tutt’uno con “Contessa”: a Reggio Emilia non si può non fare. Un gruppo i cui componenti sono cambiati nel tempo, alcuni dei quali sembravano “fondamentali”; un gruppo che ha abbandonato la facile nicchia degli amanti delle musica folk (uno zoccolo duro che esiste da sempre e per sempre esisterà); un gruppo che non concede nulla al “look da palco” (così come li vedi in concerto, così li incontri per strada). Un gruppo fondamentalmente privo di promozione televisiva e radiofonica sui network “ufficiali” ha appena concluso un tour di 100 date praticamente tutte sold-out.


(Pubblicato il: 28/11/2013)