Soundtrack - giugno 2007

GRAHAM REYNOLDS<br>
A SCANNER DARKLY<br>
Lakeshore Records 2006<br>

Prendi il disco: la prima traccia si intitola “7 Years From Now” e già i due emisferi celebrali cominciano a vibrare. Quando comincia il pezzo capisci che non è il solito underground da film. Passi a quella dopo: “Aphids”. Suoni echeggianti, basso chitarra e batteria palpitante-trascinante. Ma chi ca**o è questo? Graham Reynolds, 36 anni, nato a Francoforte ma da sempre residente ad Austin in Texas. Polistrumentista con l’inclinazione del piano e della batteria. Comincia rifacendo le colonne sonore di film muti come Faust, o la Corazzata Potemkin, per poi passare a short sperimentali, short regolari, fino ad arrivare a Richard Linklater con “A Scanner Darkly”.. e se lo meritava proprio! Graham riesce a sposare nella maniera più morbida possibile il bagno sperimentale in cui ci si immerge guardando questo anime-sci-fi girato in rotoscope (ossia prima come un film reale e poi passato frame-by-frame con l’animazione grafica) come nel suo precedente “Walking Life” (2001). Mr. Reynolds propone tutto il suo polistrumentismo in un turbine di sensazioni polimorfe, polifilmiche, polisonore. Usando una quantità di suoni, di ritmi, di rumori capaci di spaesare anche il più attendo ascoltatore. Un lavoro sperimentale? Naaa, sarebbe veramente riduttivo: questo è il frutto di una mente molto creativa con orecchio e testa rivolti alle sensazioni derivanti da un sonoro mai usato in maniera caotica, sempre tesa a regalare mutamenti di equilibrio emozionale con dei fraseggi che passano dai suoni più classici a quelli meno percettivi, tanto da far assumere a queste tracce un ruolo di ricerca nella composizione sonora di un film. Tutto con una strumentazione classica (massimo qualche aggiunta di rumori in fx). Le ultime due tracce (ottime) appartengono a due artisti di musica elettronica come Jack Dangers e DJ Spooky.. mica male per concludere il lavoro. Conclusione? Leggetevi il libro (Philip K. Dick), guardatevi il film (Keanu Reeves, Robert Downey Jr, Winona Ryder ecc..) e ascoltatevi ‘sto disco. La sensazione finale sarà un po’ quella della post-visione di “Paura e Delirio a Las Vegas”: sbronzi con la gola asciutta.

LITTLE MISS SUNSHINE<br>
DeVotchka/Mychael Danna<br>
Lakeshore Records – 2006<br>

Una bambina seconda classificata ad un concorso di bellezza riesce a passare alla finale grazie all’espulsione della prima (per via di certe pillole dimagranti..), viene accompagnata a Redondo Beach (esatto! La canzone di Patti Smith!) dall’intera famiglia: fratello che fa il voto di silenzio per diventare un pilota, zio gay appena uscito un suicidio mal finito, mamma, papà con programma su come diventare una persona vincente in 9 passi e nonno cocainomane. Commedia indipendente fantastica (assicuro che fa crepare dal ridere!) di Jonathan Dayton e Valerie Faris che si buttano sul lungometraggio dopo aver sfornato video musicale del calibro di “Tonight tonight” degli Smashing o “Road Trippin” dei Red Hot (solo per citarne due..). Decidono di affidare la colonna sonora ai DeVotchka (“ragazza” in russo), un quartetto multistrumentale che fonde punk e folk con sonorità rumene, slave, mariachi e greche (!wow!), dopo un piccolo assaggio in un altro film indipendente (Ogni cosa è illuminata) eccoli qua a sfornare un bellissimo disco con l’aiuto del compositore Mychael Danna (Capote, Nativity, Monsoon Wedding, ecc..). Una colonna sonora ricca di sfumature (ma con i DeVotchka non può essere altrimenti..) che regala sensazioni obbligatoriamente da mescolare al film: infatti per chi non ha guardato la pellicola questo disco potrebbe suggerire un briciolo di malinconia…
Già da “The Winner Is” (traccia 01) si riesce a capire il talento creativo dei DeVotchka, geniali nell’uso di una strumentazione che spazia dalle culture centroamericane ai paesi dell’est, capaci di dare un’aria di spensieratezza come nella fischiettata “Til The End Of Time” (Traccia 02) o nella pompante e flamencante “First Push” (Traccia 04), ma anche di passare in una stessa traccia ai sentimenti più disparati: è il caso di “Let’s Go” (Traccia 06) che dal malinconico inizio fisarmonicato passa ad un tripudio di piatti e di tube per tornare poi malinconica e poi ancora tripudiante. Interessante la traccia 10 “Do You Think There’s A Haeven?”, la più malinconica, la più sofferente, la più intrisa dal “morbo di Yann Tiersen” (hehehe). Splendide le ultime due tracce: “La Llorona” (Traccia 13) che mischia la musica circense a quella Mariachi e “How It Ends” che riprende la traccia iniziale ma che ci aggiunge un piacevole cantato. Ottimo lavoro che mette di buon umore, perfetto per quei giorni un po’ del menga in cui non ti sai decidere di che umore vivere.

12 MONKEYS<br>
Paul Buckmaster<br>
MCA 1995<br>

Da uno dei tanti capolavori di Terry Gilliam prendiamo l’unico lavoro importante (in ambito cinematografico) del compositore anglo-italiano: Paul Buckmaster. Arrangiatore di professione se in Inghilterra ha collaborato con Elton John e David Bowie (di cui ha arrangiato Space Oddity.. dici poco..) nel Bel Paese lo vediamo alle prese con Branduardi e Cocciante. Chiusa la parentesi biografica cominciamo a parlare un po’ di questo bel lavoro. L’introduzione è veramente potente, dura solo 0:53 secondi, ma questa fisa che ripercorre il tema delle 12 scimmie ti introduce a spinta nello scenario caotico gillemiano in cui uscirai con “First Cole Dream” (Traccia 2), dove l’immaginario onirico del compositore procede a passi lenti, indefiniti, utilizzando pochi elementi della sua orchestrina in modo a dir poco inquietante… e forse è proprio questo il sistema nervoso dell’intero lavoro di Buckmaster. Gioca infatti ad alternare una profonda inquietudine strumentale portata avanti a ritmi lenti e toni bassi, con una più vibrante atmosfera semibalcanica, giocata tutta su fisarmonica e basso che puntualmente vengono interrotti ancora una volta da strumenti deliranti-oniricizzanti. Questo modo di comporre il disco è reso chiaro anche dai titoli delle tracce: dove ogni due o tre pezzi troviamo un “Cole’s dream” (Tracce 2, 6, 10, 14), fino ad arrivare verso la fine con la 23 “This is my Dream” e la traccia conclusiva del disco “Dreamer Awake”. In conclusione credo che sia perfetto per un film di Gilliam, ma poco propenso ad un ascolto in solitaria, si rischierebbe di ritrovarsi veramente seduti sul piano della doccia a pensare che la tendina possa essere una porta verso altri mondi o altri tempi.


(Pubblicato il: 28/11/2013)