VISTI E SENTITI

Live on stage



THE JIM JONES REVUE

Covo Club, Bologna

6 maggio 2011

Non siamo neanche a metà maggio, ma eleggo il concerto di The Jim Jones Revue al Covo Club il mio concerto dell'anno.

Jim Jones era il frontman degli Thee Hypnotics, garage band inglese attiva fra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta che non ha mai raggiunto un successo mainstream (lui oggi ha 40 e qualcosa anni portati benissimo). E dove ritroviamo oggi Jim? L'immagine sonora che meglio rende l'idea della musica di The Jim Jones Revue è "Little Richard in versione punk", ovvero il massimo compendio del rock'n'roll. Influenze musicali dichiarate: MC5, Johnny Thunders, The Gun Club, The Sonics e, naturalmente, Little Richard. Una musica che non "va più di moda", questo è certo, ma come già detto in precedenti occasioni: il rock'n'roll non è morto, ma non sta per niente bene e una band come questa è un'ottima medicina per guarirlo.

Il sound è perfetto, incluso il pianoforte, suonato ovviamente in piedi con lo stesso approccio fisico da consumato giocatore di flipper, che sa scuotere la macchina senza mai farla andare in tilt (quei giochi da bar con la pallina che scende, tante lucine e colori, ok?). Attitudine al live selvaggia e allo stesso tempo meticolosamente precisa, nelle forme, nei modi e anche nel look: Jim in completo nero, slim-fit (che volendo si può anche dire dal "taglio aderente"), gilet, camicia bianca e stivaletti “alla Beatles”; Rupert Orton, chitarrista e co-fondatore della band, ha suonato metà concerto col chiodo addosso e in molti si sono chiesti come abbia potuto, ma tant’è; le scarpe bicolori del pianista: un capolavoro degli anni ’50. Poche pause fra un brano e l’altro e l’impressione che vogliano “mangiare” il pubblico. D’altro canto il pubblico, anche quello casuale, ricambia con pari ardore. E come Rupert mi ha detto dopo il concerto "mi rendo conto che questa musica e questo modo di suonare sono qualcosa a cui i più giovani non sono più abituati, ma è bello vedere durante i nostri concerti certi sguardi esterrefatti di chi poi si avvicina per farci i complimenti". Questi giovani che "scoprono" il r'n'r... anche perché non del tutto irrilevante è l'effetto collaterale indotto dal rock'n'roll medesimo quando è fatto bene, in una parola: sesso. Una prima fila tutta al femminile ne è la prova e del resto con Gavin Jay, Nick Jones e Elliot Mortimer che completano la formazione ce n'è per tutti i gusti.

Due album all'attivo e tanti concerti fatti e da fare, tra i quali segnalo questa apparizione il 31 luglio ad un festival francese con una line-up esplosiva: Iggy and The Stooges, MC5 feat.William Duvall (Alice in Chains) e Gilby Clarke (Guns n'Roses), The Bellrays e Jim Jones Revue. Il festival, manco a dirlo, si chiama "Guitare en scene" e si terrà a St. Julien en Genevois.

 

MICK HARVEY

Teatrino degli Illusi, Bologna

9 giugno 2011

Un mito per alcuni, erroneamente solo una "spalla" per altri, certamente non può essere uno sconosciuto per chi segue la musica contemporanea. Una trentina d'anni di carriera musicale alle spalle: Mick Harvey è oggi a tutti gli effetti un "cantautore". Non essendo questa una rubrica biografica citerò solo alcuni nomi legati alla sua storia per rinfrescare eventualmente la memoria: Nick Cave, Birthday Party, Bad Seeds; oltre che autore di colonne sonore, produttore (con PJ Harvey ad esempio) e multistrumentista (chitarra, basso, tastiere, batteria, percussioni incluso il glockenspiel) e naturalmente canta, bene. E' appena uscito il suo ultimo lavoro solista (2 maggio) "Sketches From The Book Of The Dead" e un nuovo locale da poco aperto a Bologna ospita il suo concerto. Lui, la sua chitarra e una contrabbassista sul palco di questo piccolo teatro che una volta proponeva "performance sexy", recentemente recuperato dall'oblio di una pluriennale chiusura e sapientemente trasformato in un teatro alternativo dal sapore retrò, dove gustarsi lo spettacolo seduti al tavolino. Luogo ideale per le atmosfere cupe e sensuali della musica di Mick Harvey. Non a caso il nero è il colore imperante, anche tra il pubblico, fatto dalle facce conosciute dei frequentatori di lungo corso della scena musicale cittadina. Non il primo lavoro solista per Harvey, ma il primo composto interamente da brani di sua produzione, senza la "rete di protezione" dei membri dei Bad Seeds (questa l'azzeccata definizione della bibbia musicale Pitchfork). Concerto ipnotico, spaziale, desertico o come ha detto la mia amica cinefila Stefania "come in un film di David Lynch".

 

 


(Pubblicato il: 25/07/2014)