FRANZ FERDINAND
Covo Club, Bologna
13 marzo 2004
Mai visto negli ultimi anni un Covo così strabordante di gente! Il tempio italiano dellindie rock questa volta ha fatto bingo! Del resto, quando si esordisce con un disco (c'è anche in vinile ) come quello dei Franz Ferdinand il rischio cè. Ma questa non è la rubrica delle recensioni discografiche, bensì dei concerti. Quindi veniamo al sodo. Una serie di brani tutti potenzialmente da singolo, ma questo si sapeva già. Quello che non si sapeva è quanto la loro interpretazione si avvicini alla perfezione e la perfezione nel rocknroll ha una accezione del tutto particolare rispetto al significato semantico della parola: bisogna essere bravi, come loro sono; bisogna sapere cantare, come loro fanno; bisogna scrivere belle canzoni, come le loro. Ma prima di ogni altra cosa, bisogna avere attitudine: e i Franz Ferdinand ce lhanno. Quellingrediente indispensabile per la riuscita della torta, fatto da come tieni il palco; dalle mosse che fai; da come senti la musica che stai suonando; da come la vuoi trasmettere ai chi ti ascolta e da come ci riesci; dai vestiti che scegli e dalle parole che dici, poche perché tanto non servono. E se lattitudine c'è, arriva anche a chi quella musica non piace: respect. Giovani e belli, dal look curato e un po dandy, ancora increduli di tanto clamore e quindi genuinamente appassionati. Chi lavrebbe mai detto qualche mese fa, al momento di fissare questa data, che questi inglesi sarebbero diventati le facce più ambite delle copertine dei giornali musicali di mezza Europa? Qualcuno potrebbe obiettare: per forza, sono scozzesi. Ma questo è un particolare che fino a ieri era relegato al bagaglio di conoscenze di pochi eletti. Perché i Franz Ferdinand sono quello che la musica inglese (in senso lato, o di United Kingdom, se preferite) stava aspettando da molto tempo, più o meno da una decina danni (peccato che gli Oasis abbiano creduto di essere i Beatles e i Blur i Rolling Stones). Quello che centinaia di bands hanno tentato di diventare senza esserlo; quello che Elastica e Libertines hanno promesso, ma non mantenuto; quello a cui si avvicinano i Supergrass; quello da cui si sono allontanati i Radiohead. Il pop squisitamente britannico; la new-wave (quella buona); i mods contro i rockers e viceversa; lhumus dove sono cresciuti David Bowie e i Jam; gli Who, i Bauhaus; la swinging London; no future for you; Manchester e Glasgow. I Franz Ferdinand hanno respirato quellaria, mangiato quel cibo (e vabbè), bevuto quella birra (questo sì) si può solo sperare che linquinamento globale non rovini questa perla. n.b.: ogni gruppo citato può essere sostituito con altri più vicini alla sensibilità musicale di ciascuno senza che ciò modifichi il senso del discorso. Lunico nome non sostituibile è quello dei Franz Ferdinand. DAMIEN RICE
Officina Estragon, Bologna
9 marzo 2004 Forse lui non lo sa, ma deve dire grazie a Ligabue se lEstragon è strapieno per attendere questo giovane song-writer irlandese che nellarcipelago britannico sta scalando le classifiche! Luciano Ligabue in unintervista per un quotidiano nazionale ha detto che quello di Damien Rice è per lui il miglior disco del 2003 e da quel momento le sue quotazioni in Italia hanno iniziato a salire. Una voce alla Jeff Buckley e una sensibilità che rimanda ai Coldplay, così dice la sua biografia (anche se ha detto che i Coldplay lui li conosce solo di fama). Un album (O) acustico, come si suol dire: introspettivo, dove i testi hanno una importanza fondamentale (e già qui una domanda scontata sorge spontanea ), costellato di duetti con una voce femminile dalla timbrica decisamente folk. Ma si dice che il concerto sia più elettrico e il sound-check del pomeriggio sembra confermare queste voci: Damien attacca alla chitarra una improvvisazione alla Chuck Berry e basso e batteria lo seguono a ruota (gli archi si ritraggono un po stupiti e, forse, imbarazzati). La formazione: Rice voce e chitarra - elettrica e acustica, batteria, basso, una violoncellista e una pianista-cantante, con laggiunta di un violino in alcuni brani. Brani totalmente acustici si alternano a interpretazioni dalle sonorità quasi progressive; dolci ballate insieme ad aperture musicali più scure; evidente linfluenza jazz, dichiarata nel suo amore per Nina Simone. Il pubblico è coinvolto e attento (per evitare distrazioni è stato anche chiesto al bar di chiudere durante il concerto); ed è soddisfatto perché Damien Rice mantiene decisamente le promesse fatte con il suo album di debutto. Il concerto nasconde anche una sorpresa: nei bis Damien Rice si ritrae per lasciare spazio alla voce della violoncellista per linterpretazione di Seven Nation Army dei White Stripes con il bassista alla grancassa. Decisamente lontani i White Stripes dal sound di Damien Rice: ma le strade della musica sono infinite. STIFF LITTLE FINGERS
Rock Planet, Pinarella di Cervia
25 febbraio 2004
Nevica a tratti tra Bologna e Cesena; è mercoledì sera e Pinarella sembra una desolata periferia di una qualsiasi città: silenzio, non cè nessuno per strada e non ci sono neanche macchine nel parcheggio del locale. Non è un buon segno. Una pietra miliare della storia del punk rock è qui. Per la precisione: il cantante di una band che è stata ecc.ecc . Perché solo Jake Burns è rimasto a portare in giro la musica delle Piccole Dita Nervose. Anche se al suo fianco, a suonare il basso, cè uno che in fatto di storia della musica ha detto la sua: Bruce Foxton, bassista dei Jam (allora stava al fianco di quel Paul Weller che di strada ha continuato a farne anche dopo). Dentro poco più di 50 persone. Circa 40 si conoscevano tra loro e i discorsi giravano tutti intorno a ti ricordi quando e non esageriamo che non siamo ancora da buttare il tutto condito da molta ironia; e questo va bene. Gli altri 10 erano sotto i 25 anni, con la cresta verde e il chiodo borchiato. Nati nel posto sbagliato al momento sbagliato. I due signori sul palco hanno retto in maniera più che decente il passare degli anni. Ma il punk-rock, più di qualsiasi genere, ha dei canoni da cui è difficile prescindere, non solo musicali, ma anche di stile, uno di questi è che bisogna essere giovani, e non solo dentro. Non sarà giusto, però è così (rarissime le eccezioni dignitose). Il concerto è musicalmente ineccepibile, Foxton è un bassista eccezionale. La voce di Burns è rimasta quella, con quel timbro inconfondibile. Gli altri due potrebbero essere chiunque, basta che sappiano suonare. Ma soprattutto i brani sono quelli. Alternative Ulster è linno di questa band irlandese che entra a pieno diritto nel hall of fame del punk insieme a Sex Pistols, The Clash, Stranglers, Damned (che a distanza di un mese suoneranno al Vidia, sempre a Cesena: Romagna The Punk!). E poi Tin Soldier, Nobodys Heros, Barbed Wire Love nonostante il nuovo disco degli Stiff Little Fingers sia dellanno scorso, il concerto è una piccola celebrazione, come ci si aspettava, anche se i pochi pezzi nuovi presentati non sono niente male: in linea con la produzione di sempre della band, ma con arrangiamenti attuali che lasciano intravedere unattività musicale ancora viva e non solo dei copia-incolla del passato. Il volume è quasi ridicolo, ma del resto la situazione non è da stadio le canzoni sono conosciute a memoria da tutti E una è dedicata a Joe Strummer: un dovere. Un accenno di pogo e il concerto finisce. Al bar strette di mano e mezze frasi tipo è un onore conoscerti, sei sempre un grande. La macchina del tempo ha funzionato. E fuori ci aspetta la neve.
Covo Club, Bologna
13 marzo 2004
Mai visto negli ultimi anni un Covo così strabordante di gente! Il tempio italiano dellindie rock questa volta ha fatto bingo! Del resto, quando si esordisce con un disco (c'è anche in vinile ) come quello dei Franz Ferdinand il rischio cè. Ma questa non è la rubrica delle recensioni discografiche, bensì dei concerti. Quindi veniamo al sodo. Una serie di brani tutti potenzialmente da singolo, ma questo si sapeva già. Quello che non si sapeva è quanto la loro interpretazione si avvicini alla perfezione e la perfezione nel rocknroll ha una accezione del tutto particolare rispetto al significato semantico della parola: bisogna essere bravi, come loro sono; bisogna sapere cantare, come loro fanno; bisogna scrivere belle canzoni, come le loro. Ma prima di ogni altra cosa, bisogna avere attitudine: e i Franz Ferdinand ce lhanno. Quellingrediente indispensabile per la riuscita della torta, fatto da come tieni il palco; dalle mosse che fai; da come senti la musica che stai suonando; da come la vuoi trasmettere ai chi ti ascolta e da come ci riesci; dai vestiti che scegli e dalle parole che dici, poche perché tanto non servono. E se lattitudine c'è, arriva anche a chi quella musica non piace: respect. Giovani e belli, dal look curato e un po dandy, ancora increduli di tanto clamore e quindi genuinamente appassionati. Chi lavrebbe mai detto qualche mese fa, al momento di fissare questa data, che questi inglesi sarebbero diventati le facce più ambite delle copertine dei giornali musicali di mezza Europa? Qualcuno potrebbe obiettare: per forza, sono scozzesi. Ma questo è un particolare che fino a ieri era relegato al bagaglio di conoscenze di pochi eletti. Perché i Franz Ferdinand sono quello che la musica inglese (in senso lato, o di United Kingdom, se preferite) stava aspettando da molto tempo, più o meno da una decina danni (peccato che gli Oasis abbiano creduto di essere i Beatles e i Blur i Rolling Stones). Quello che centinaia di bands hanno tentato di diventare senza esserlo; quello che Elastica e Libertines hanno promesso, ma non mantenuto; quello a cui si avvicinano i Supergrass; quello da cui si sono allontanati i Radiohead. Il pop squisitamente britannico; la new-wave (quella buona); i mods contro i rockers e viceversa; lhumus dove sono cresciuti David Bowie e i Jam; gli Who, i Bauhaus; la swinging London; no future for you; Manchester e Glasgow. I Franz Ferdinand hanno respirato quellaria, mangiato quel cibo (e vabbè), bevuto quella birra (questo sì) si può solo sperare che linquinamento globale non rovini questa perla. n.b.: ogni gruppo citato può essere sostituito con altri più vicini alla sensibilità musicale di ciascuno senza che ciò modifichi il senso del discorso. Lunico nome non sostituibile è quello dei Franz Ferdinand. DAMIEN RICE
Officina Estragon, Bologna
9 marzo 2004 Forse lui non lo sa, ma deve dire grazie a Ligabue se lEstragon è strapieno per attendere questo giovane song-writer irlandese che nellarcipelago britannico sta scalando le classifiche! Luciano Ligabue in unintervista per un quotidiano nazionale ha detto che quello di Damien Rice è per lui il miglior disco del 2003 e da quel momento le sue quotazioni in Italia hanno iniziato a salire. Una voce alla Jeff Buckley e una sensibilità che rimanda ai Coldplay, così dice la sua biografia (anche se ha detto che i Coldplay lui li conosce solo di fama). Un album (O) acustico, come si suol dire: introspettivo, dove i testi hanno una importanza fondamentale (e già qui una domanda scontata sorge spontanea ), costellato di duetti con una voce femminile dalla timbrica decisamente folk. Ma si dice che il concerto sia più elettrico e il sound-check del pomeriggio sembra confermare queste voci: Damien attacca alla chitarra una improvvisazione alla Chuck Berry e basso e batteria lo seguono a ruota (gli archi si ritraggono un po stupiti e, forse, imbarazzati). La formazione: Rice voce e chitarra - elettrica e acustica, batteria, basso, una violoncellista e una pianista-cantante, con laggiunta di un violino in alcuni brani. Brani totalmente acustici si alternano a interpretazioni dalle sonorità quasi progressive; dolci ballate insieme ad aperture musicali più scure; evidente linfluenza jazz, dichiarata nel suo amore per Nina Simone. Il pubblico è coinvolto e attento (per evitare distrazioni è stato anche chiesto al bar di chiudere durante il concerto); ed è soddisfatto perché Damien Rice mantiene decisamente le promesse fatte con il suo album di debutto. Il concerto nasconde anche una sorpresa: nei bis Damien Rice si ritrae per lasciare spazio alla voce della violoncellista per linterpretazione di Seven Nation Army dei White Stripes con il bassista alla grancassa. Decisamente lontani i White Stripes dal sound di Damien Rice: ma le strade della musica sono infinite. STIFF LITTLE FINGERS
Rock Planet, Pinarella di Cervia
25 febbraio 2004
Nevica a tratti tra Bologna e Cesena; è mercoledì sera e Pinarella sembra una desolata periferia di una qualsiasi città: silenzio, non cè nessuno per strada e non ci sono neanche macchine nel parcheggio del locale. Non è un buon segno. Una pietra miliare della storia del punk rock è qui. Per la precisione: il cantante di una band che è stata ecc.ecc . Perché solo Jake Burns è rimasto a portare in giro la musica delle Piccole Dita Nervose. Anche se al suo fianco, a suonare il basso, cè uno che in fatto di storia della musica ha detto la sua: Bruce Foxton, bassista dei Jam (allora stava al fianco di quel Paul Weller che di strada ha continuato a farne anche dopo). Dentro poco più di 50 persone. Circa 40 si conoscevano tra loro e i discorsi giravano tutti intorno a ti ricordi quando e non esageriamo che non siamo ancora da buttare il tutto condito da molta ironia; e questo va bene. Gli altri 10 erano sotto i 25 anni, con la cresta verde e il chiodo borchiato. Nati nel posto sbagliato al momento sbagliato. I due signori sul palco hanno retto in maniera più che decente il passare degli anni. Ma il punk-rock, più di qualsiasi genere, ha dei canoni da cui è difficile prescindere, non solo musicali, ma anche di stile, uno di questi è che bisogna essere giovani, e non solo dentro. Non sarà giusto, però è così (rarissime le eccezioni dignitose). Il concerto è musicalmente ineccepibile, Foxton è un bassista eccezionale. La voce di Burns è rimasta quella, con quel timbro inconfondibile. Gli altri due potrebbero essere chiunque, basta che sappiano suonare. Ma soprattutto i brani sono quelli. Alternative Ulster è linno di questa band irlandese che entra a pieno diritto nel hall of fame del punk insieme a Sex Pistols, The Clash, Stranglers, Damned (che a distanza di un mese suoneranno al Vidia, sempre a Cesena: Romagna The Punk!). E poi Tin Soldier, Nobodys Heros, Barbed Wire Love nonostante il nuovo disco degli Stiff Little Fingers sia dellanno scorso, il concerto è una piccola celebrazione, come ci si aspettava, anche se i pochi pezzi nuovi presentati non sono niente male: in linea con la produzione di sempre della band, ma con arrangiamenti attuali che lasciano intravedere unattività musicale ancora viva e non solo dei copia-incolla del passato. Il volume è quasi ridicolo, ma del resto la situazione non è da stadio le canzoni sono conosciute a memoria da tutti E una è dedicata a Joe Strummer: un dovere. Un accenno di pogo e il concerto finisce. Al bar strette di mano e mezze frasi tipo è un onore conoscerti, sei sempre un grande. La macchina del tempo ha funzionato. E fuori ci aspetta la neve.
(Pubblicato il:
28/11/2013)