Babyshambles

Cronaca di un concerto annunciato

Se c’è un concerto che si merita, nel suo genere, l’appellativo di “concerto dell’anno”, questo è quello dei Babyshambles all’Estragon di Bologna il 2 febbraio 2008. Il mondo “indie” era in fermento da tempo, tanto da esaurire i biglietti un mese prima della fatidica data (e a “Bologna la snob” non capita spesso). Mr Pete Doherty era in arrivo. La volta precedente (maggio 2006), Pete atterrò all’aeroporto alle 23 della sera del concerto: prelevato e portato sul palco in diretta. Il motivo? La mattina era stato fermato “per accertamenti” dalla Royal Police di Sua Maestà. Questa volta è andato tutto liscio. Precisi e professionali, lui, la band e la crew, per la promozione del nuovo album “Shotter’s Nation”, uscito per la “major” Parlophone (e la cosa pare non essere in contrasto con il genere “indie” di cui sopra, ma il discorso si farebbe lungo). Un bel disco, che prova le capacità del nostro eroe come autore di belle canzoni e non solo come inesauribile generatore di gossip. Se è vero che Kate Moss ha deciso di nominare suo fidanzato ufficiale Jamie Hince, alias Hotel, dei Kills, allora lui potrà dedicare più tempo alla musica. Lo show ha qualcosa di messianico, nonostante il carisma di Pete faccia presa soprattutto sui più giovani (che del resto, giustamente, sono la maggioranza), mentre lascia i più esperti, diciamo, un po’ delusi. Ma ha una bella voce e l’atteggiamento giusto da dannato del rock’n’roll del nuovo millennio, ovvero: laddove gli abiti esageratamente trasgressivi hanno fallito, può riuscire un bel completo con cravatta e cappello (ed erano tanti i cappelli sulle teste del pubblico). Momenti di pathos collettivo si smorzano in ballate con poco piglio; forse è un errore iniziare il concerto con alcuni dei brani migliori come Carry Up The Morning e Delivery, magari era meglio scaldare un po’ l’audience, ma sono quisquiglie perché tutti, in fondo, aspettano solo il momento per urlare a pieni polmoni “Fuck Forever” e non solo per il brano, azzeccato nell’andamento, nelle pause e nei riff, ma soprattutto, indipendentemente dal resto del testo, perché trova tutti solidali in questo anthem transgenerazionale. Il momento naturalmente arriva in conclusione, quando il fonico si permette di alzare al massimo tutti i cursori del mixer per un effetto quasi cacofonico devastante per le orecchie, ma di sicuro effetto emotivo.

Il concerto è finito, ma non è finita la serata bolognese del nostro eroe. L’after show party è annunciato al Covo Club, ma raramente qualcuno della band partecipa a questi cosiddetti “party”. Questa volta non è così. Che si ricordasse o meno dei suoi esordi con i Libertines, Pete Doherty decide che ha voglia di continuare fuori il suo sabato sera. Poco prima dell’una la porta del retro del Covo si spalanca ed entra una fila di persone: c’erano tutti, tecnici, manager, musicisti e naturalmente lui. Le scene da isteria collettiva seguite alla sua apparizione sono degne del miglior party londinese nel locale più trendy del momento. Evidentemente rodato a queste situazioni il suo comportamento è perfettamente adeguato: si concede quel tanto che basta, appare e scompare un paio di volte. Gira voce che voglia esibirsi come dj, no vuole suonare da solo con la chitarra acustica, alla fine non fa né l’una né l’altra cosa, ma non è molto importante. Il resto degli “inglesi” rimangono fino a chiusura e la sopra citata “professionalità” scompare quasi d’incanto per lasciare posto alla famigerata ubriacatura britannica, che equivale a una quasi completa devastazione. L’ultimo ricordo della notte è uno di loro che rivolto alla ragazza del guardaroba implora “I need a woman!”, ma non credo fosse una citazione di felliniana memoria dal mitico Amarcord.


(Pubblicato il: 28/11/2013)