Calexico - Twisted Wheel - Damned

CALEXICO<br>
Estragon, Bologna<br>
23 Gennaio 2009<br>
Punto di incontro in musica fra il sud degli Stati Uniti e il Centro America, “panamericani” come la strada che non tiene conto dei confini di stato, ma attraversa tutto il continente da nord a sud e viceversa. Sono i Calexico, che non a caso prendono il nome da una città al confine fra la California e il Messico. Calexico si legge anche Joey Burns e John Convertino, i due musicisti chiave della formazione e le cui radici affondano nei Giant Sand di Howe Gelb. Ultima produzione discografica “Carried To Dust”. Queste le premesse anagrafiche. Il loro concerto bolognese raduna una nutrita schiera di pubblico, non appare il caso di usare il termine “fan”, qui di fanatici non se ne vedono. Non si conclama un trend musicale, nessuna concessione ad alcun tipo di look, qui si celebra la quintessenza del rock americano (sempre in senso continentale), quello che a parole è stato definito country alternativo, tex-mex, desert rock o mariachi jazz. Suonato alla perfezione da musicisti di lungo corso, animati da una passione palpabile, aiutati da una creatività notevole, sostenuti da una professionalità evidente. Il risultato è un concerto ipnotico, catartico, catalizzante e coinvolgente. Senza ritornelli, senza cori e senza assoli. Il pubblico in stato di grazia gode della musica che attraversa non solo confini terreni, ma anche barriere stilistiche, per una volta senza scontentare nessuno. Ed il concetto “trasversale” appare in tutta la sua chiarezza (e spiega anche la presenza di Vinicio Capossela nella versione italiana dell'ultimo disco dei Calexico nel brano “Polpo d'Amor”...).

TWISTED WHEEL<br>
Covo Club, Bologna<br>
6 febbraio 2009<br>
&<br>
THE DAMNED<br>
Estragon, Bologna<br>
13 febbraio 2009<br>
Dai Damned ai Twisted Wheel. E' possibile tracciare un'ipotetica linea fra questi due estremi temporali di un percorso musicale che inizia e prosegue tutto all'interno di una stessa isola, anzi, una parte di essa: l'Inghilterra. Una strada iniziata a Londra nel 1976, con i Damned che vincono una gara che ha la sua importanza: sono i primi a pubblicare quello che rimarrà agli atti come il primo singolo della storia del punk inglese “New Rose”. Una strada che ha portato una versione ridotta dei Damned a suonare, 33 anni dopo quell'esordio, nel capoluogo emiliano con un nuovo disco da promuovere “So, Who's Paranoid?”. Sono rimaste solo la chitarra di Captain Sensible e la voce del vampiro Dave Vanian, non c'è più neanche la già “sostitutiva” Patricia Morrison (già al basso con Gun Club e Sister of Mercy, e scusate se è poco). Rimane anche la consumata abilità di veri animali da palcoscenico, che permette a Dave Vanian di sedersi a leggere il giornale nel bel mezzo di un brano o a Captain Sensible di suonare la chitarra con una lattina di birra; rimangono per certo delle canzoni epocali, ed è bello ascoltarla quella New Rose, e ancora Love Song, e anche Neat Neat Neat e Anti-Pope (esatto: Anti-Papa). E se il Capitano può ancora permettersi di indossare un basco rosso, occhiali con montatura bianca e gilet di pelle borchiato, magari Dave poteva probabilmente evitare la giacca bianca modello barbiere/cameriere, anche perché la non-regia luci dell'Estragon non gli rende affatto giustizia. Ma la percezione che tutto ciò non abbia senso, se non probabilmente in un contesto commemorativo e preferibilmente in madre-patria, pervade il pubblico, sia i vecchi in vena di nostalgia, sia i pochi giovani ansiosi di sapere da dove viene la musica che scaricano oggi dalla rete. Perché la strada è sempre quella. La stessa che passando da Manchester ha raccolto l'anno scorso i tre ragazzetti dei Twisted Wheel. Il lunedì precedente al concerto del Covo avevano suonato a Milano in apertura al concerto niente meno che degli Oasis (si mormora voluti dai fratelli Gallagher in persona) e venerdì si ritrovano davanti a un centinaio di persone, che almeno sono lì per loro, anche se neanche è uscito l'album d'esordio (peraltro già pronto e anticipato dal singolo “Lucy The Castle”). L'ennesimo gruppetto indierock? Non proprio. Nessun look studiato, ancora senza “mestiere” per tenere bene il palco, ma c'è qualcosa in quelle canzoni che ricorda tanto altro, un po' come provare una nuova ricetta mai assaggiata prima e ritrovarvi qualcosa di tanti piatti mangiati con gusto in passato. Per una volta la frase ad effetto studiata per il canonico comunicato stampa di presentazione potrebbe avere ragione: “la loro musica è un centrifugato del meglio del rock inglese degli ultimi decenni”. Ma tornando alla nostra strada, da queste parti si direbbe che “ne hanno ancora da fare”, rimane solo da augurare loro di non sbandare.


(Pubblicato il: 28/11/2013)