Intervista con Lisbeth Kirk

Lisbeth Kirk, giornalista, é responsabile della pubblicazione online EUObserver (http://euobserver.com), specializzata in tematiche politiche, europee e a quello che gira dentro e intorno a innovazione e creatività. Si é occupata delle recenti elezioni americane, e ha scritto sull’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione durante la campagna mediatica del Presidente USA Barack Obama.

Elena: Lisbeth, molti hanno fatto riferimento alla campagna Internet di Barack Obama come momento di svolta nell’uso delle nuove tecnologie per la comunicazione politica. Sei d’accordo?
Lisbeth: Si’. Penso che la campagna elettorale di Barack Obama sia stata uno spartiacque: per la prima volta Internet é diventato il campo di battaglia, il fulcro della campagna, e non più solo un supporto ai canali tradizionali di comunicazione, tipo la classica conferenza stampa. Tutte le news sono state lanciate prima sul web, e canali come Facebook ed altre comunità online sono diventati essenziali per la diffusione di informazioni e la creazione di consenso.

Elena: Basta questo per spiegare il successo della campagna?
Lisbeth: No. Ci sono altri elementi da considerare. La campagna Internet di Obama ha beneficiato molto del cosiddetto effetto "long tail" ("lunga coda") sul web – basato cioé su piccoli contributi in grandi numeri. É lo stesso modello su cui si basa Google per la pubblicità: il profitto non si ricava sul singolo annuncio, ma sul numero degli utenti che visitano le pagine. Inoltre Obama é stato molto bravo a combinare le nuove tecnologie con l’aspetto "emozionale", il web con il "faccia a faccia": c’era un vero e proprio esercito di volontari che bussavano alle porte per parlare alla gente, capire quello che pensava e di cui aveva bisogno. Tutte informazioni preziosissime, che sono state inserite in un enorme data-base costantemente aggiornato. Probabilmente in Europa non sarebbe possibile fare lo stesso, dato che le regole sulla privacy e la protezione dei dati personali sono più rigide. Elena: Sembra che il Presidente francese Sarkozy si stia facendo consigliare da uno degli strateghi della campagna Internet di Obama. Quello di Obama é diventato un modello "da esportazione "?
Lisbeth: In parte si’, anche se bisogna sempre inserirlo in un contesto. Come accennato per la privacy, l’Europa non é l’America. Pero’ ci sono già degli esempi. Si veda l’Islanda, dove la comunicazione sul recente cambio di governo é stata orchestrata su Internet, con informazioni disseminate innanzi tutto attraverso le comunità online e i siti web. Come dicevo, pero’, occhio al contesto : l’Islanda é un’isola felice, dove praticamente tutti hanno accesso a Internet e il divario digitale é ridotto al minimo. In Europa non é dappertutto cosi’, anzi. Al di là dell’accesso, poi, bisogna considerare un altro aspetto fondamentale per il successo delle campagne basate sulle nuove tecnologie: la capacità della gente di usarle. In questo senso, é importantissimo il ruolo delle nuove generazioni nell’ "educare" chi non é più giovane all’uso di Internet e nella spinta alla creazione di comunità online. Il legame creato attraverso Internet puo’ essere davvero molto forte.

Elena: Qual é secondo te il collante e il principale fattore di successo di siti sociali come Facebook ?
Lisbeth: La partecipazione attiva. In questi canali l’utente é in primo piano, e i contenuti sono “in movimento”: gli utenti contribuiscono alla loro definizione e possono scegliere come e quando fruirne e farli circolare. La libertà e la facilità di accesso é sicuramente un fattore positivo, soprattutto in settori come la politica, in cui la partecipazione della gente é essenziale. Non c’é bisogno di avere una grande preparazione e tanti soldi per fare parte del "gioco". E’ un po’ come praticare uno sport: in generale, tutti possono farlo e divertirsi, anche senza essere bravissimi o diventare dei professionisti.

Elena: Tutto questo vale anche per la musica e la creazione artistica?
Lisbeth: In generale, si’. Ognuno puo’ “giocare” con le tecnologie per promuovere e dare visibilità alla propria musica, al proprio lavoro creativo. Il problema, come sempre, é ricavarne abbastanza per viverci. É come una piramide: in basso ci sta chi lo fa solo per divertimento; in cima, chi é famoso, i “big“ (pochi) che ricavano dei profitti promuovendo il proprio lavoro sul web. Il problema é per gli altri, per tutti gli artisti – o aspiranti tali – che stanno nel mezzo della piramide, in una specie di limbo. Forse si potrebbe sostenerli attraverso l’intervento pubblico, ma é difficile trovare la modalità giusta. La proposta fatta da alcuni di destinare a questa fascia intermedia una parte dei ricavati degli abbonamenti delle utenze Internet é, secondo me, troppo difficile da mettere in pratica. In questo campo, in cui uno dei problemi é anche quello di garantire la diversità dell’offerta culturale come bene pubblico, le questioni aperte sono ancora tante.


(Pubblicato il: 28/11/2013)