Soundtrack - novembre 05

Eccoci qua… per la seconda volta cercherò di spingere vueter ad aprire un attimo l’orizzonte sonoro, che state coltivando pian piano a suon di schitarrate ed elektrovolts, alla ricerca di qualcosa di alternativo (oppure no..) al vostro status musicale.
Su questo piatto ci sono quattro tipi di pietanze diverse che potrebbero darvi una mano ad alimentare il vostro “io ascolto”, ovvio che più assaggi, più sono le tue possibilità di confronto..<br>
Bon Apeti’.

MARCH OF THE PENGUINS<br>
Alex Wurman<br>
Milan<br>
2005<br>
Sicuramente una delle esperienze più interessanti intraprese da Alex Wurman che coglie l’occasione del film-documentario sui piccoli camerieri pinnuti per esaltare le sue composizioni dinamiche e ambientali in un contesto dove l’importanza della musica viene solo dopo quella delle immagini. In un certo senso lo schermo è accompagnato dalla bacchetta di Wurman che si deve per una volta calare nei panni di un addestratore di pinguini, cercando di captare ogni tipo di sensazione che un uccello nuotatore possa avere in un deserto di ghiaccio e gelo. Alex Wurman entra nel mondo del soundtrack anche grazie alla collaborazione con Hans Zimmer (il compositore del “Gladiatore” per intenderci..) che lo fa partecipare alla colonna sonora di alcuni blockbusters come “Armageddon” e “Il Re Leone”. Il suo ultimo lavoro degno di nota risiede nel bell’esordio di Clooney come regista in “Confessioni di una mente pericolosa”. E’ tuttavia con “March Of The Penguins” che il lavoro di Wurman viene reso ascoltabile anche dalle orecchie meno attente. Il disco si può definire “rilassante”, viene costruito con suoni xilofonati e astrali, non è difficile capire a quale elemento naturale appartenga ogni variazione sonora. Pezzi come “The March”, “Arrival At The Sea” e “Reunited” non possono che spingerti a pensare al quello spazio bianco, riescono a cancellare ogni piccolo o grande problema per pochi minuti, ripulendo la tua testa dalle milioni di cacatine che ti vengono propinate ogni giorno rendendoti la vita così complicata.. Hai bisogno di svuotare la tua mente da pensieri ingombranti senza fare uso di sostanze proibite? Ascoltati “March Of The Penguin”.
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DRAWING RESTRAINT 9<br>
Bjork<br>
One Little Indian<br>
2005<br>

Originale disco della cantante vulcaniana che affronta ancora una volta il compito della composizione per la settima arte, questa volta per il marito Matthew Barney… affermato artistoide contemporaneo (ma si sa… l’arte contemporanea..) che va a realizzare il suo settimo “film”. La colonna sonora è quel tocco di umanità che penetra nei tessuti plastici dell’immortalità che investe gli artisti contemporanei, “Drawing Restraint 9 OST” non si dissocia più di tanto dalle altre opere di Bjork, da ”Giftwarapping” ad “Antartic Return” i suoni, i canti (suoi e non) e i rumori si possono riferire con tranquillità all’ambiente Bjorkano, fatta eccezione per “Transformation: Holographic Hentrypoint”, unico pezzo non di sua mano ma bensì di Matthew Barney, troppi minuti di recitato canto giapponese che farebbero perdere la pazienza anche ad un sasso (ma si sa.. l’arte contemporanea..). La plasticità di Bjork si sposa bene con la vaselina di Barney creando, più che un film e colonna sonora, una vera e propria opera d’amore destinata ad assuefare le palpitazioni di coppia.. in particolar modo con “Gratitude”, anche se non cantata da Bjork ma da Will Oldham.
Comunque.. vuoi un disco etichettato “alternativo” e contemporaneamente “soundtrack”... compra l’ultimo di Bjork.

TIM BURTON’S CORPSE BRIDE<br>
Danny Elfman<br>
Warner/Sunset<br>
2005<br>
Centoventiquattresima colonna sonora per Denny Elfman e undicesimo lavoro per Burton che dopo “Beetle Juice” (in Italia ignobilmente chiamato “Spiritello Porcello”) non lo ha mai lasciato (eccezione “Ed Wood”). La carriera di Danny Elfman e cosparsa di numerosi lumi orecchiabili, dal tema di “Batman” alla celeberrima sigla dei “Simpson” (di cui si accinge a comporre un intero soundtrack per il lungometraggio che uscirà nel 2008) e molti molti altri. “Corpse Bride” è l’ennesima conferma di un talento che se trattenuto potrebbe esplodere all’interno dello stomaco di Elfman causando un tragico epilogo. Questo disco si srotola tra pezzi di sottofondo, ondate trainanti ed esplosioni di musical disneyano, mai, mai, mai ripetitivo, mai soporifero, sempre frizzante, avvolgente e vario. Traspirano tutte le atmosfere gotiche alla Burton, a volte giocose, a volte grottesche, formate da un sound prima profondo carico di bassotube e tromboni e poi sottile accarezzato da violini e campanelle. Insomma.. avete un fratellino? Un cuginetto? Un nipotino? Un pargoletto? Piglia il ciddì e tanti auguri di buon non-compleanno.. perché sarà molto meglio di quei 45 giri favolati con il “quando sentirai il campanellio dovrai girare pagina” che le nostre mamme ci hanno propinato fino alla nausea.

Un assaggio al passato..
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PSYCHO<br>
Composer: Bernard Herrmann (1960)<br>
Joel McNelly & Royal Scottish National Orchestra
Varese Sarabande<br>
1997<br>
Disco da avere assolutamente, ci troviamo davanti al primo grande compositore di colonne sonore della storia.. pensate solo che il suo primo soundtrack è stato quello del film considerato dai critici “il più bello della storia” cioè: “Quarto Potere/Citizen Kane” nel 1941, del pazzoide Orson Welles. Bernard Herrmann ha accompagnato Hitchock nei suoi capolavori più conosciuti: “La congiura degli innocenti / The Trouble with Harry” del 1955, “L’uomo che sapeva troppo / The Man Who Knew Too Much” del 1956 e molti altri fino a “Marnie” del 1964, anno in cui rompe con il maestro del brivido e si dedica ad altri capolavori come la sigla di “Perry Mason”, “Fahrenheit 451” o “Taxi Driver”… Questo disco lo potete trovare in molte salse, nel 1997 però è uscita una bella edizione eseguita dalla Scottish National Orchestra diretta da Joel McNeely. Il lavoro sonoro è epocale quanto il film, non è un caso che Herrmann abbia collaborato così spesso con l’esigente Hitchcock. Non c’è un minuto che non sia coinvolgente, si potrebbe tranquillamente indovinare il film solo con l’ascolto, si comincia con il geniale “Prelude” (..ovviamente..) che ripercorre quello stato di disequilibrio tra benessere e malinconia che avvinghia la protagonista (quella gran bella … di Janet Leigh), e poi si continua in un susseguirsi di andamenti oceanici orchestrali, che non lasciano mai un secondo di disattenzione, il tutto culmina con la trentesima traccia: la celeberrima “The Knife” con le sue taglianti (vi prego… perdonatemi…) sviolinate acutissime. Il tutto è un lento e rilassante (per quanto possa essere rilassante un film di Hitchcock..) ritorno alla normalità. Un album Classico, pieno, voluminoso, morbido e vellutato che più bello non si può. Sonorità confortanti e inquietanti. Un capolavoro che bisogna mangiare con intelligenza. Vi piace il pop? Il rock? Il Metal? La Classica? Il Jazz? Il Blues? L’elektro?… non fa differenza: dovete avere questo album.


(Pubblicato il: 28/11/2013)