Paul Weller - Stiff Little Fingers

Sono giunta alla conclusione che è vero: dopo i 50 anni inizia una “seconda giovinezza”, ovvero si è più vecchi a 42 anni che a 53. La certezza di questa affermazione mi viene dall’avere assistito, quasi mio malgrado, a tre concerti di musicisti che da un punto di vista anagrafico e per storia personale dovrebbero appartenere al passato della storia della musica, glorioso, ma pur sempre passato. Così non è. Per fortuna.

Paul Weller
Estragon, Bologna
15 ottobre 2008
“The Modfather” ha da pochi mesi festeggiato il suo cinquantesimo compleanno. Era appena maggiorenne quando diede vita ai Jam in una Londra in pieno periodo punk, da allora Paul Weller non è mai sceso dal palco, passando senza soluzione di continuità dai Jam, agli Style Council, alla versione solista. Questo aiuta a mantenersi al passo e in forma. Ma un concerto così non se lo aspettava nessuno e non solo: forma fisica stre-pi-to-sa (chiedere al pubblico femminile presente); abbigliamento impeccabile come si confà al padrino del mod: polo nera e pantaloni grigio scuro per-fett-ti; taglio di capelli biondissimi impeccabile, anche quando grondava sudore a litri. Ma non basta: lo stesso piglio nervoso e incazzereccio da “working class britannica fine anni settanta” (che lo accomuna per molti aspetti ad un altro ragazzo dell’epoca, tal Johnny Lydon); brani suonati in versioni veloci, potenti e incisive con una formazione di due chitarre, basso, tastiere e batteria (si registra l’assenza di Steve White, suo drummer da sempre, sostituito da un bravo batterista più giovane e pertanto più energico, ma meno esperto). Il tour è quello di presentazione del suo nuovo album “22 Dreams”, che contiene 21 canzoni (a voi trovare il sogno n. 22) prive di qualunque accenno al revival: semplicemente il compendio di una trentennale esperienza di musica british fino al midollo. Nuovo album, ma lo spazio e la voglia per suonare “Shout To The Top” degli Style Council e addirittura “That’s Entertainment” e, come gran finale, “Town Called Malice” dei Jam l’ha trovato eccome. Il pubblico, adulto, che ha fatto il tutto esaurito è in delirio. Per la cronaca: molti sono stati quelli che pur esaltati dall’esibizione hanno sottolineato che non sono stati raggiunti gli apici dell’ormai mitico concerto del nostro Paul al Vox di Nonantola nel 2005. The Hanson Brothers
Locomotiv, Bologna
22 ottobre 2008
e
Stiff Little Fingers
Estragon, Bologna
23 ottobre 2008
Due concerti punk rock uno dietro l’altro, a Bologna nel 2008. C’è qualcosa di strano. Nel primo caso, con gli Hanson Brothers, dovrebbe trattarsi di una presa in giro del genere in questione a cura dei più elaborati e cerebrali No Means No (trattasi infatti di side-project della nota band canadese), mentre nel secondo, con gli irlandesi Stiff Little Fingers, siamo di fronte a degli originali fautori del punk fine ‘70. Addirittura vicino alla sessantina i primi, attorno ai cinquanta i secondi, entrambe le formazioni interpretano magistralmente il loro ruolo. I tre No Means No/Hanson Brothers - a cui si aggiunge un batterista, dato che quello dei No Means No con gli Hanson Brothers diventa front-man (non è difficile da capire come sembra) - fanno gli ironici con un look da “manuale del punk”: chiodo e jeans strappati e per chi non avesse ancora capito: una maschera con la scritta “dumb” (scemo) in fronte. Una specie di cover-band dei Ramones (che sono degli idoli e non degli idioti). Peccato, per modo di dire, che quello che fanno lo fanno più che bene, si vede e si sente che a loro piace veramente: come se volessero sdoganare il punk-rock presso un pubblico che dentro lo ama e fuori lo deve per forza rinnegare. Sia come sia, il pubblico era scarso e al 95% maschile. C’era anche uno, molto stupido o molto intelligente, con la maglietta dei Clash. Magliette dei Clash portate “legalmente” al concerto degli Stiff Little Fingers ce n’erano più di una, anche perché più del previsto era il pubblico presente. Gente che non si vedeva in giro da anni. Cantante (ingrassato ma con i capelli) e bassista (fisico asciutto ma pelato) della formazione originale sciorinano una dietro l’altra le hit storiche (Nobody’s Hero, Barbed Wire Love, Tin Soldier, Ulternative Ulster, ecc.) per un pogo fronte-palco che sembra la ricostruzione per un film d’epoca, creste colorate incluse. Due chiacchiere con il bassista Ali Mc Mordie e scopro che in Inghilterra ai loro concerti vanno migliaia di persone e che stanno per registrare un nuovo disco. E’ proprio vero: c’è qualcosa di strano nell’aria.


(Pubblicato il: 28/11/2013)