Roots connection

Animystic
Parlare di un disco postumo è sempre un groppo in gola. Poco importa se non conoscevi personalmente Enrico Micheletti, perché quello che conta è che la musica ha perso un grande chitarrista blues. Uno di quelli che ha trascorso la vita a cercare le risposte nella sua chitarra e nella sua voce da navigato musicista, anche se a qualche migliaio di chilometri dal Delta del Mississippi. Un disco postumo perché i Roots Connection nella formazione a trio non esistono più. Non possono più esistere. Un disco postumo che è il secondo dei Roots Connection, progetto che vede Fabrizio Tavernelli, in una delle sue mille vite artistiche, cimentarsi con la musica del diavolo insieme al compagno d’avventura Fabio Ferraboschi. Un disco postumo che ti arriva dritto al cuore al primo ascolto. Forse non avete ben compreso. Ho detto al primo ascolto. Infatti basta aprire la porta su “Wake Up” che si viene travolti da un suono potente, mistico e pulsante. La vita vi chiama ai vostri impegni (qualsiasi essi siano), ma voi non riuscite a staccarvi dal “Animystic”. “Hard Time Killing Floor” di Skip James è lì pronta ad abbracciarvi, “Done Gone”, “You Got To My Head Like Wine”, “I’m Going To Live The Life I Sing About In My Song” di Thomas Dorsey, con la vibrante voce di Lucia Tarì, sono le vibrazioni che non avvertivate da tempo girare per il vostro corpo. Se poi in chiusura ci sono “Dream Baby Dream” dei Suicide e “Ring My Bells” di Bob Dylan bisogna proprio dire che “Animystic” è un grande disco di blues contaminato. A proposito, il titolo dell’album deriva dalla fusione di due parole: animismo e mistico. Un disco postumo. Un disco ricco di pathos.

Formato: cd


(Pubblicato il: 28/11/2013)